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lunedì 28 aprile 2025
 

«L'Italia è come un'azienda: senza giovani è destinata a chiudere»

Sono un vecchio abbonato e credo che il vostro giornale abbia contribuito in modo determinate a definire i miei valori della vita, non solo cristiana. Vi scrivo a riguardo dell’inverno demografico che sta attraversando il nostro Paese e di cui, purtroppo, non si intravvede l’uscita. La nostra società occidentale si fonda su un patto non scritto tra generazioni. I genitori fanno famiglia, crescono i figli, ne curano lo studio fino a portarli all’autonomia e, una volta inseriti nel mondo del lavoro, il ciclo della vita si rinnova.

Ho l’impressione che questo patto oggi sia in parte disatteso, in quanto le future generazioni, se potessero, avrebbero l’interesse a rinunciare all’eredità che lasciamo loro. Infatti, i giovani che si affacciano al mondo del lavoro lo trovano ma precario e con retribuzioni misere; senza parlare del debito pubblico, enorme, e un domani avranno pure una pensione da fame. Per non parlare del Pianeta surriscaldato, che mostra tutte le depredazioni subite e l’inquinamento diffuso.

È difficile con queste prospettive per le nuove generazioni mettere su casa e, ancora più difficile, “fare famiglia”. Dobbiamo agire in fretta! Senza le nuove generazioni il progresso si ferma, si vive di ricordi e di nostalgia per i bei tempi passati. Un Paese senza figli è destinato al declino. L’Italia, come qualsiasi azienda, se non ha giovani risorse tra le sue maestranze è destinata a chiudere. Senza nuove nascite, inoltre, si devono preoccupare sia i padri che i nonni. Saremo in grado di sostenere in futuro il welfare destinato agli anziani?

PIETRO SCOMPARIN

Caro Pietro, la copertina di questo numero, dal provocatorio titolo L’ultimo italiano?, è proprio dedicata a questo scottante tema. L’intervista allo statistico Roberto Volpi (a p. 26) snocciola numeri impressionanti riguardo al futuro del nostro Paese, colpito da un gravissimo deficit di natalità, uno dei peggiori al mondo. Gli “Stati generali della natalità” di questa settimana (12-13 maggio), organizzati dal Forum delle associazioni familiari e giunti alla sua seconda edizione, hanno voluto proprio affrontare questa emergenza. I dati, che potete trovare nel servizio, sono in prospettiva davvero apocalittici. L’anno passato i nuovi nati sono stati 399.431, sotto la soglia psicologia delle 400mila unità. L’Istat alla fine del 2020 rilevava che il numero medio di figli per donna è sceso nel 2020 a 1,24 (il livello di sostituzione si attesta al 2,1).

A conferma di quanto dici, poi, nel 2050 i cittadini in età lavorativa - e, quindi, con capacità contributiva per le pensioni - scenderanno dal 63,8% al 53,3% del totale. Francesco Belletti, direttore del Cisf, ricordava nel numero scorso che non possiamo lasciarci andare al panico o, peggio, a frasi che sentiamo spesso del tipo “come si fa a fare figli in un mondo come questo?”. È urgente, invece, una conversione spirituale e culturale, che faccia considerare il figlio come un bene pubblico, una promessa di futuro, collocando lui e la sua famiglia al centro.

Quanto sta realizzando da anni l’Agenzia per la coesione sociale della Provincia autonoma di Trento è un esempio interessante. Essa da anni verifica nei numeri che lo sviluppo delle politiche dei singoli assessorati (bilancio, trasporti, turismo, ecc.) in funzione del benessere familiare hanno ricadute socio-economiche molto positive sul territorio.

Una visione profetica che fa registrare un dato interessante: le politiche che mettono al centro i bisogni della famiglia permettono risparmi di scala che smentiscono l’ottica assistenzialista con cui spesso si parla di famiglia. È il segno che anche politicamente è possibile operare quel passaggio dall’“io”, tipico della nostra società individualistica, al “noi” di una comunità solidale e fraterna, a cui ci richiama continuamente papa Francesco. Non bastano, seppur necessarie, politiche fiscali a sostegno della famiglia. L’assegno unico di recente introduzione, come abbiamo scritto, è solo un primo passo a cui dovranno seguirne altri. Non è, infatti, solo l’aspetto economico a trattenere i giovani dal fare coppia e dal generare figli, ma soprattutto il fatto che non vedono chiaro nel loro futuro. Un “deficit di speranza” che deve interrogarci tutti.

È l’appiattimento sul presente il male che è urgente curare: sempre più coppie per tanti motivi trovano una stabilità affettiva ed economica solo in età avanzata, rendendo più difficile la procreazione. Un figlio è un segno di speranza. Hannah Arendt, parlando della nascita del Bambin Gesù, scriveva che ogni essere umano, proprio perché rappresenta un nuovo inizio, è una “libertà gettata” nel mondo che metterà in moto nuovi processi adeguati alla realtà in continua mutazione in cui vivrà. Gesù, nato in un mondo e in un contesto ostile, con la sua nascita ha salvato il mondo. La fede in Lui e nella Provvidenza, che aiuta una coppia ad accettare il rischio di un figlio, è il vero motore da riavviare in questa stagione della storia. Tutti insieme. Dai bambini il nostro futuro.


18 maggio 2022

 
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