LAvoratori etiopi fermati dalla polizia saudita (Reuters).
Tutti quelli convinti che l'Europa sia assediata dai migranti e che l'Italia sia vittima di nuove invasioni, diano un'occhiata a quanto è successo ieri in Arabia Saudita. Nelle scorse ore, infatti, le autorità saudite hanno rastrellato 23 mila (ventitremila!) lavoratori dell'Etiopia che erano nel Paese senza i giusti permessi e hanno cominciato a espellerli verso il Paese d'origine. Nelle scorse due settimane, sempre dall'Arabia Saudita erano stati rispediti a casa 30 mila (trentamila!) lavoratori arrivati dallo Yemen. E negli ultimi tre mesi il rimpatrio forzato è toccato a circa 1.000.000 (un milione!) di lavoratori entrati nel Paese, e poi rimasti in modo illegale, da Nepal, India, Bangladesh, Filippine e Pakistan.
L'operazione non è stata, ovviamente, indolore: nelle operazioni di polizia, segnate da scontri e sassaiole, sono morte finora 5 persone. Il tutto è avvenuto allo scadere dei sette mesi che le autorità avevano concesso agli immigrati per regolarizzare la propria posizione. Cosa che peraltro sono riusciti a fare altri 4 milioni di lavoratori stranieri, sui 9 milioni totali di immigrati (secondo le stime) che lavorano in Arabia Saudita, sui 27 milioni di persone che conta la popolazione locale.
Stando ai numeri si potrebbe tranquillamente dire: altro che le nostre "invasioni"! Le autorità saudite, che hanno ovviamente tutto il diritto di applicare e far rispettare le leggi nazionali, giustificano i recenti provvedimenti con la necessità di ridurre tra la popolazione autoctona il tasso di disoccupazione, ormai arrivato al 12%.
E' un ragionamento (fermiamo i migranti per salvare l'occupazione) che risuona spesso anche dalle nostre parti. Nel caso dell'Arabia Saudita bisognerebbe piuttosto chiedersi come mai il più grande esportatore di petrolio al mondo, oltre che uno dei Paesi con le maggiori riserve in valuta del mondo, non riesce a garantire lavoro, o almeno sussistenza, a 26 milioni di persone (meno di metà della popolazione italiana).