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giovedì 05 ottobre 2023
 
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Giornalista e docente di Teoria e tecnica dei media all'Università Cattolica

Costa Concordia, basta (e avanza) così

L’arrivo della Costa Concordia nel porto di Genova segna l’epilogo di una vicenda drammatica – non dimentichiamo che nel naufragio molte persone sono morte – che la tv e lo show system mediatico hanno trasformato in una telenovela a puntate, degna degli sceneggiatori più cinici.
Non era facile rendere spettacolare la storia di una nave da crociera schiantata sugli scogli per l'incoscienza del suo capitano e per le usanze promozionali oggi (rin)negate dalla compagnia armatrice, ampiamente in uso al momento del disastro (il cosiddetto “inchino”, ovvero il passaggio a poche miglia dalle coste più frequentate, serve a far vedere da vicino alla gente la possibilità di una crociera, a dispetto di qualunque misura di sicurezza nautica).


Eppure ci si è riusciti, spostando la luce dei riflettori dal dramma delle vittime allo scaricabarile sul disastro, dalla prevenzione degli incidenti in mare al linguaggio colorito delle telefonate fra il “capitano” Schettino e la Guardia Costiera, dagli sversamenti inquinanti sottocosta agli appetiti di chi si sarebbe aggiudicato la demolizione del relitto. Fino ad arrivare alla telecronaca minuto per minuto del raddrizzamento della nave, della sua “messa in sicurezza” (!) e del suo viaggio dall’Isola del Giglio al porto di Genova, documentato con tanto di telecamere al seguito come se si trattasse dell’impresa del secolo.

Può anche darsi che la tecnica delle operazioni di recupero di grandi relitti abbia dato il meglio di sé in questa occasione, ma in fondo questo non era altro che suo compito. Quindi, perché tanta attenzione quasi morbosa? Forse non ci sono altri argomenti, ben più importanti e urgenti di questo, per costruire il quotidiano palinsesto dei notiziari?
È vero, siamo in estate e sappiamo che in questo periodo l’informazione vira decisamente verso le soft news, le notizie “da ombrellone” più da (far) vedere che da raccontare. Ma intere dirette delle reti all news e interminabili prime pagine dei telegiornali dedicate al trasporto di un relitto lungo i nostri mari hanno ampiamente oltrepassato il limite non solo della naturale curiosità degli spettatori ma anche della loro eventuale mania voyeuristica.

Non sono ancora del tutto chiari i dettagli del disastro e non è ancora definitivamente chiuso il bilancio delle vittime (manca il corpo di un disperso), in compenso sappiamo però tutto sulla velocità con cui il relitto è stato trainato, su chi ha guidato il recupero e perfino sui nomi dei rimorchiatori (“Svezia” e “Spagna”, per la cronaca). Non c’è la stessa precisione, né la stessa volontà di sapere, sugli ordini dati e ricevuti da Schettino e dai suoi aiutanti, sulle motivazioni di una manovra scriteriata e inevitabilmente disastrosa, sulle responsabilità della compagnia navale, sulle condizioni dei superstiti, sulla possibilità che simili incidenti si possano considerare scongiurati per sempre.

Sentir dire – e veder titolare – “Concordia, missione compiuta” suona veramente molto male, soprattutto a fronte delle 32 vittime e degli oltre 100 feriti, a cui si aggiunge lo stato d’animo di tutti gli altri passeggeri di quello sciagurato viaggio e dei loro famigliari, comunque segnati per sempre dal disastro.
Dopo il puntuale resoconto per parole e immagini dell’attracco, secondo per secondo, vorremmo che su questa tragedia calasse il sipario. La parola “fine” si potrà pronunciare quando tutte le responsabilità saranno definitivamente accertate. Nel frattempo, di quel che resta della Concordia vorremmo non sentir più parlare.


28 luglio 2014

 
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