L'area in cui dovrebbe sorgere il nuovo tratto del Muro.
Pare rinviata alla prossima settimana la sentenza della Corte Suprema di Israele a proposito della contestata costruzione di un altro pezzo del Muro sui terreni di 58 famiglie palestinesi cristiane del villaggio di Beit Jala, alle porte di Betlemme. Il prolungamento del Muro, ovviamente, comporterebbe l'esproprio di circa 300 ettari di terreni (coltivati a olivi, grano e vite) e quindi un colpo forse mortale all'economia della comunità. Ma non solo: distruggerebbe di fatto anche l'insediamento salesiano di Cremisan.
Da oltre 150 anni, infatti, i religiosi pregano, coltivano la vite e vinificano su quelle colline, producendo il vino più antico e famoso della Terra Santa. Oggi i salesiani hanno un monastero maschile, un convento femminile, una scuola (costruita nel 1960, ha oggi 400 alunni) e le famose cantine. Se il Muro fosse costruito, la scuola e il convento rimarrebbero sul lato palestinese, il monastero e le cantine su quello israeliano. Nello stesso tempo, le suore salesiane di Bei Jala, proprio come successe alle consorelle comboniane di Betania, vedrebbero il Muro correre nei loro terreni, perdendo circa il 70% della loro proprietà, mentre la scuola ricadrebbe in una zona a giurisdizione militare quasi completamente circondata dal Muro.
Le autorità di Israele avevano annunciato il progetto fin dal 2006, e da allora la questione è risalita fino alla Corte Suprema. Naturalmente la motivazione israeliana sta nelle solite "ragioni di sicurezza", che vengono usate per giustificare e coprire qualunque decisione. Nella realtà, si tratta dell'ennesimo esproprio di terre altrui (in questo caso nemmeno palestinesi, tra l'altro) per costringere i palestinesi in spazi sempre più ristretti ed economicamente meno sostenibili.
Nel caso specifico, la vera ragione strategica sta nel fatto che, tagliando col Muro la valle di Cremisan, verrebbe tracciata una sorta di linea quasi continua tra gli insediamenti di Hilo e Har Gilo, un ulteriore passo avanti nel soffocamento dello spazio vitale dei palestinesi.