Donna Tartt con la copertina in lingua originale del "Cardellino".
L'estate scorsa avevo messo da parte per le mie letture due romanzoni dalla mole notevole, quasi 1.000 pagine. Si trattava di I luminari di Eleanor Catton (Fandango), vincitore del Man Booker Prize, e Il cardellino di Donna Tartt (Rizzoli), vincitore del Pulitzer per la narrativa. Allora la mia scelta cadde sul primo dei due libri, I luminari, su cui ho scritto un post che ha suscitato un certo interesse fra i lettori. Perché lo avessi preferito a Il cardellino, non saprei dire: come sa chi ha esperienza di lettura, a volte un dettaglio, una nota nella trama, la copertina orientano in maniera inconscia.
Nei mesi successivi, incalzato dalle novità in uscita, avevo nuovamente accantonato il romanzo, ma era destino che lo leggessi. Quando ho visto che Corriere, Repubblica e Stampa lo mettevano al primo posto fra i migliori romanzi del 2014, mi sono detto che non potevo più aspettare. Così ho dedicato le vacanze a cavallo fra i due anni a leggere queste 900 pagine. Che, lo dico subito, raccomando a chiunque ami la vera letteratura.
Siamo a New York, ai nostri giorni. Il tredicenne Theo va a visitare una mostra insieme alla madre. In pochi minuti accadranno i fatti che segneranno per sempre la sua esistenza. Mentre si aggira fra le sale, lo sguardo del ragazzo è catturato da una ragazzina dai capelli rossi e dall'anziano signore che la accompagna. Una terribile esplosione sgretola il museo e uccide i visitatori, fra cui l'adorata madre di Theo. Un signore in fin di vita, quell'anziano che girava con la ragazzina che tanto aveva interessato Theo, gli affida un anello, indicandogli un indirizzo dove consegnarlo. Prima di uscire dal museo in fiamme, il ragazzo prende e porta con sé un dipinto, rimasto miracolosamente integro: Il cardellino, capolavoro del 1654 di Carel Fabritius.
Per Theo, orfano di madre e abbandonato dal padre da tempo, comincia un viaggio infernale. Su sua indicazione, i servizi sociali lo affideranno alla famiglia di un suo caro amico. E quando si deciderà a eseguire il "testamento" dell'anziano conosciuto negli ultimi istanti della sua vita, finirà in un laboratorio-negozio di antiquariato, un'oasi fuori dal tempo e dallo spazio, dove vive il socio dell'anziano e dove è ricoverata Pippa, la ragazzina dai capelli rossi di cui si era innamorato a prima vista.
Ed ecco il famoso dipinto di Fabritius al centro del romanzo.
Ora, è chiaro che è impossibile, oltre che inutile, riassumere quasi 900 pagine. Diremo solo che nel momento in cui Theo sembrerà avere trovato un minimo equilibrio, si rifarà vivo il padre, portandolo con sé a Las Vegas, in uno squallido quartiere strappato al deserto. Lì conoscerà però Boris, il più grande amico della sua vita, una creatura disperata e temeraria, che inciderà pesantemente sulla sua sorte. Theo tornerà dopo qualche tempo a New York e nel laboratorio di antiquariato e, nella parte finale del romanzo, andrà ad Amsterdam all'inseguimento del quadro che aveva sempre portato con sé e che gli era stato rubato...
Theo è un personaggio che resterà a lungo nell'anima del lettore e che, probabilmente, si ricaverà, anzi si è già conquistato uno spazio fra i giovani "eroi" della letteratura. Attraverso di lui, Donna Tartt elabora una riflessione profonda anzitutto sulla solitudine, una terribile solitudine che è parte fondamentale e ineludibile della condizione umana. Per combattere questa condizione insuperabile esistono dei rimedi. Theo, come molti altri personaggi del romanzo, cerca di frequente l'oblio nelle droghe. Altri nella ricerca di una uno stile di vita dedito all'apparenza e all'immagine esteriore - e in questo New York, con i suoi riti mondani, è insuperabile. Altri ancora, come l'indimenticabile Boris - forse il personaggio più riuscito e compiuto del romanzo, persino dello stesso Theo - scelgono di affrontare le avversità a viso aperto, sfidando la vita, sempre sul punto di precipitare nell'abisso.
E tuttavia non sono questi gli unici rimedi che la vita mette a disposizione di noi mortali, gettati in un'esistenza complicata, di cui ci sfugge sempre il senso. Dilaniato dalla morte dell'amata madre e dal senso di colpa, il protagonista ha comunque la "fortuna"di conoscere l'amicizia, quella di Andy, nella cui famiglia viene accolto dopo l'attentato terroristico, e soprattutto quella di Boris, spericolata ed estrema, eppure vera. Privato del padre e della madre, Theo incontra in Hobie - il socio dell'anziano che in punto di morte gli aveva affidato l'anello - un uomo straordinario, autorevole, amorevole, paziente, sempre pronto ad accoglierlo e a fargli, di fatto, da genitore, oltre che a trasmettergli la passione e la passione per l'antiquariato. Una meravigliosa figura positiva, questo Hobie.
E poi c'è l'amore, misterioso e impossibile, per quella ragazzina dai capelli rossi, alla quale Theo si avvicinerà in diverse occasioni, scoprendo un'affinità così profonda da far paura...
E Il cardellino, il quadro rubato, nascosto, adorato, terapeutico, perso e inseguito da Theo per tutta la vita? Ha il compito di rappresentare un altro dei temi fondamentali del romanzo, vale a dire il ruolo della bellezza nella nostra vita, un rifugio ideale capace di lenire il nostro dolore, di darci la forza di superare le ferite. L'uccellino ritratto nel dipinto è legato a una catena, breve e limitato è lo spazio del suo volo; eppure, per quanto la sua condizione sembri terribile, è determinato a restare al suo posto, a non ritrarsi dal mondo; è pieno di dignità. Quel cardellino non è forse Theo? Non rappresenta tutti noi uomini? La nostra condizione di "prigionieri", certo, ma anche la possibilità di non abbandonarsi alla perdizione, di non gettarsi nell'abisso spalancato a pochi passi. Cedere alla tentazione del nulla sarebbe facile e, per molti aspetti, logico, razionale. L'alternativa è quella di vivere come il cardellino di Fabritius, non ignari della nostra dolorosa condizione, ma nemmeno rassegnai, sconfitti, bensì aggrappati dignitosamente alle cose belle che la vita, comunque, offre.
Il romanzo di Donna Tartt si pone così come una straziante meditazione sul senso dell'esistenza, resa più urgente e necessaria da eventi tragici e incommensurabili come l'11 settembre (e, oggi possiamo aggiungere, come l'attacco a Charlie Hebdo...). Impossibile non pensare che l'attentato terroristico al museo da cui origina il romanzo non sia anche un richiamo a quel fatto e che Il cardellino non aspiri ad essere una meditazione sulla vita e il suo significato dopo un trauma incancellabile (aspetto stranamente poco sottolineato dalla critica).
Infine due parole sull'autrice. Prima del Cardellino, aveva pubblicato solo Dio di illusioni e Il piccolo amico, quindi tre romanzi in oltre 20 anni, dall'esordio del 1992 a quest'ultimo lavoro del 2013. Donna Tartt si dedica al mestiere di scrittrice come un monaco si consacra alla sua vocazione. Ci consegna un romanzo solo quando ritiene di averlo portato a compimento, pazienza se gli editori premono per spingere a sfornare più libri, magari meno lunghi. Certo, lei se lo può permettere: ma se lo può permettere perché è stata coerente con le sue scelte e la sua fede nella letteratura.