I DI AVVENTO
La venuta del Signore
Dopo aver attraversato Gerico, Gesù ha quasi terminato il suo pellegrinaggio verso Gerusalemme. Entrato in città, frequenta il tempio e vi insegna. È in questo contesto che il Signore osserva quanto vi accade, come il gesto generoso di una vedova, narrato appena sopra il brano evangelico proclamato in questa domenica.
E poi, quasi d’improvviso, ecco le parole tragiche di Gesù sul tempio, con l’inizio del cosiddetto discorso escatologico, cioè sugli ultimi tempi. Gesù aveva anche pianto su Gerusalemme, poco prima di arrivare alla città santa, come l’evangelista Luca riferisce: «Quando fu vicino, alla vista della città pianse su di essa dicendo: “… i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata”» (19,41-44).
Ci impressiona veder piangere il Signore. Vero uomo, ha sperimentato come noi le gioie e la pace, ma anche la sofferenza e il dolore, e non solo quello fisico. Colpisce che Gesù pianga per la sorte di un’intera città, per il suo popolo, e così facendo ci insegni ad avere cura – come cristiani – della casa comune, del bene comune, della sorte di tutti gli uomini e delle donne che vivono nelle nostre città.
Ma ora ecco che Gesù annuncia la distruzione del tempio (che avrà luogo per mano degli eserciti romani nel 70 d.C.). Ci dobbiamo chiedere: era forse contro Gerusalemme e contro il tempio? Non è così. Basterà ricordare che Gesù sin da piccolo viene portato dai suoi genitori nel tempio (Luca 2,21-38), dove poi incontrerà, adolescente, il «Padre suo» (Luca 2,49). Ancora, durante il processo che subirà in un improvvisato sinedrio, accusato di aver minacciato di distruggere quell’edificio, Gesù sarà subito scagionato da queste falsità.
Gesù, piuttosto, conferisce al tempio il ruolo che gli spetta, perché ha timore che diventi un’altra forma, più elaborata, di idolatria, o che si sostituisca all’incontro con Dio. In questo senso, è nella linea dei profeti d’Israele, come Geremia, che mettevano in guardia il popolo: «Non confidate in parole menzognere ripetendo: “Questo è il tempio del Signore, il tempio del Signore, il tempio del Signore!”» (Geremia 7,4). Ogni volta che Israele prova a delimitare la presenza di Dio, e a contenerlo in forme visibili come un vitello d’oro, o un’arca, o un tempio, deve ricredersi. Le parole di Gesù hanno anche un altro significato. Il tempio – come ogni realtà di questo mondo, anche le più belle e sacre – è destinato a finire: ecco il senso del discorso di Gesù che ascoltiamo nel Vangelo odierno. Non vuole suscitare paure, ma farci attendere il suo ritorno.
A partire da questo Avvento, perciò, dovremmo prepararci al fatto che la realtà che conosciamo terminerà, fin quando verrà la nuova Gerusalemme, finalmente la nostra patria, dove non ci sarà più pianto o lacrime, ma nemmeno un tempio, perché «il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio» (Apocalisse 21,22).