Questa domenica e quella successiva costituiscono un piccolo itinerario di avvicinamento al tempo quaresimale, una sorta di preparazione al dono che Dio stesso ha disposto per noi, cioè la sua clemenza, il suo amore perdonante; oggi infatti celebriamo la “domenica della divina clemenza”. La liturgia ci offre dunque un testo evangelico ricco di suggestioni, capace di rendere visibile la clemenza di Dio nella parole e negli atteggiamenti del Signore Gesù; si tratta infatti del racconto della donna adultera, colta in flagrante e prossima a essere condannata a morte per lapidazione, come prevedeva la Legge mosaica.
La sequenza è davvero drammatica, ma l’elemento apparentemente disturbante è il fatto che portino questa donna davanti a Gesù, ponendogli una domanda in modo volutamente provocatorio, si legge infatti nel testo: «Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo». Il dilemma nel quale vorrebbero rinchiudere Gesù infatti pone da una parte il rigore della Legge che condanna a morte questa donna a motivo del suo adulterio e dall’altra l’atteggiamento di misericordia e di clemenza che Gesù aveva già più volte mostrato, considerato dagli scribi e dai farisei troppo lassista.
Dunque la domanda che pongono coloro che gli hanno condotto questa donna è diretta e senza possibili scorciatoie: «Mosè nella Legge, ci ha ordinato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». La risposta inizialmente è sconcertante, cioè Gesù non dice nulla e nemmeno dà l’impressione di voler rispondere ma, inspiegabilmente, si mette a scrivere nella polvere a terra, col dito. Ma questi insistono e allora Gesù, ribaltando contro i suoi interlocutori la provocazione, rivolge un invito destinato a smascherare la loro ipocrisia: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei».
La clemenza di Dio non è la misura umana delle cose, e non è neppure uno sconto di pena, non si tratta di “chiudere un occhio”, ma di guardare ogni cosa con gli occhi di Dio, con il suo sguardo di Padre amorevole che ben conosce i suoi figli e sa che nessuno è senza peccato. Dunque nessun uomo può arrogarsi il diritto di condannare altri; ciò non signica che il male non sia reale e che non vada chiamato per nome, tuttavia chi lo ha commesso è, e rimane, figlio e fratello. La scelta di Dio, che l’atteggiamento di Gesù manifesta, è l’esatto contrario della condanna, cosa che la piccola folla vorrebbe, ieri come oggi: si tratta di prendere sul serio il male e il peccato ma di combatterlo con le armi del perdono e della clemenza: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
Chi ha bisogno della clemenza di Dio sono io, siamo noi tutti dal momento che ci troviamo su entrambi i fronti della scena: sia sul fronte dell’adultera, per le nostre infedeltà a Dio e al suo amore, sia perché siamo continuamente tentati di condannare, mettendoci dalla parte dei “giusti”. Riconoscerci bisognosi comunque della divina clemenza, ci dispone dunque ad entrare nel prossimo tempo quaresimale.