L’ingresso del Messia
Tra gli oracoli che Isaia rivolge a varie nazioni nella prima parte dei suoi scritti, c’è anche quello indirizzato alle terre di Moab, da cui è tratta la prima lettura. Moab era stato assoggettato da Davide come vassallo e ora si trova di fronte a un nemico crudele intenzionato ad aggredirlo. Non può far altro che ricorrere di nuovo a Giuda che concederà aiuto e asilo ai fuggiaschi, fino a che la minaccia non sia sventata e sorga sul trono di Davide un re giusto, clemente e misericordioso.
Dell’avvento di un re simile parla anche un’altra profezia che fa implicitamente capolino nel racconto dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme tratto dal Vangelo di Marco. Si tratta delle parole di Zaccaria 9,9: «Esulta grandemente, figlia di Sion...! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina». Una citazione dal chiaro significato messianico. Verrà un re che compirà la promessa fatta a Israele, sarà giusto e vittorioso ma non sarà un condottiero violento e dominatore. «Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni», continua nella sua profezia Zaccaria. Il realizzarsi del regno di Dio e della sua promessa di salvezza fatta alle genti attraverso Israele ha il volto di un uomo mite che giunge disarmato se non addirittura arreso.
Le parole del Salmo 118 con cui la gente acclama Gesù al suo passaggio sono la conferma del suo riconoscimento come re-messia, Figlio di Davide. I gesti di contorno non fanno che esplicitare quel che le parole annunciano. I mantelli stesi a terra e posti sull’asino, le fronde sventolate, l’animale cavalcato per la prima volta sono tutti segni con cui si onora la regalità di colui che entra in città.
Anche se a questo punto del suo Vangelo ormai sembra tutto chiaro, Marco pone dei segnali che la questione dell’identità di Gesù e del suo riconoscimento non è affatto pacifica anche per i suoi discepoli.
La salita a Gerusalemme è stata preceduta dall’incontro con il cieco Bartimeo, l’unico ad acclamare – da non vedente! – l’identità autentica di Gesù. Il parallelo con la diffcoltà mostrata dagli apostoli lungo tutto il cammino di discepolato nel comprendere la verità sul loro Maestro è fortissimo. Coloro che credono di vedere non vedono in realtà. Per “vedere” davvero Gesù ci vuole tutto un altro sguardo che è lui per primo a donare, come accade con Bartimeo. L’unzione di Betania che seguirà l’ingresso a Gerusalemme e che anticiperà i fatti della Passione mostrerà ancora, nelle reazioni dei presenti, tutta la fatica di far spazio a Gesù e alla sua visione.
Si comprendono così la gioia e la gratitudine di Paolo che, pur nel dispiacere di non riuscire a raggiungere i fratelli e le sorelle di Tessalonica a causa delle tribolazioni che soffre, si sente rinfrancato e consolato dal loro esempio nel rimanere saldi nella fede, riconoscendovi la grazia più grande. La stessa grazia che chiediamo ad ogni passo del cammino di Avvento.