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sabato 24 maggio 2025
 

Domenica 7 maggio - IV di Pasqua

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (10,11-18)

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai farisei: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo.

Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
  

Dalla Parola alla vita

Giovanni continua ad accompagnarci nella contemplazione del Crocifisso-Risorto: Gesù non è solo l’Agnello di Dio, offerto in sacrificio per il perdono dei peccati, ma è anche il pastore che dà la vita per le sue pecore.

1. «Io sono il buon pastore». L’immagine del buon pastore è biblica; è usata dal profeta Ezechiele per indicare la passione di Dio che, non sopportando i pastori che «pascono se stessi», rivendica per sé il ruolo di pastore buono che condurrà le pecore in «ottime pasture» (34,1-16). Gesù, nel Vangelo che stiamo meditando, applica a sé l’immagine del buon pastore. Così è stata recepita la figura di Gesù fin dalle primissime comunità cristiane: una delle prime rappresentazioni ritrae Gesù nelle vesti del buon pastore.

Quali sono le caratteristiche di Gesù-pastore? Gesù introduce una distinzione chiara tra il mercenario e il pastore buono. Essere mercenario non rappresenta, di per sé, un male: era ed è la condizione normale di chi lavora per vivere e per guadagnare. Gesù dice di essere un buon pastore, ma in una prospettiva totalmente diversa da quella che emerge dalla similitudine. Un pastore avveduto tratta bene le sue pecore perché vive delle pecore; esse sono la sua fonte di sostentamento: proprio per questo non dà la vita “per” le pecore, ma usa le pecore per vivere. Gesù si pone in una logica totalmente diversa: egli dà la vita per le pecore e non si serve della vita delle pecore.

2. «Il buon pastore dà la vita per le pecore». Gesù, nel Getsemani, si è offerto al posto nostro dicendo: «Se cercate me, lasciate che questi se ne vadano». L’intera vita di Gesù è racchiusa nel gesto dell’offerta di sé; per questo motivo i cristiani sono chiamati a testimoniare con coraggio e speranza che il senso della vita sta nel donare la vita e non nel trattenerla per sé. La fede stessa non va mai conservata e tenuta stretta come un possesso personale, al contrario va offerta con semplicità a chiunque ci chieda ragione della nostra gioia. Il modo con cui Gesù è pastore raffigura con grande chiarezza lo stile inconfondibile del cristiano: dare la vita per avere la vita. C’è un pastore che non vive dei proventi del gregge, ma esiste anche un gregge (la Chiesa) che vive della vita del Pastore. Si è di fronte a una logica, dal punto di vista “aziendale”, assolutamente fallimentare: viene annunciata una logica diversa, che è quella evangelica.

Resta la domanda: ma si può vivere secondo una logica del genere? Può la Chiesa fare sua l’immagine del buon pastore al modo di Gesù? Parrebbe proprio di sì. Se così non fosse, il cristianesimo perderebbe la sua essenza e la sua diversità rispetto allo stile del mondo. Perciò l’immagine del buon pastore va ben compresa ed è necessario leggerla nella logica della croce, cioè del martirio. Il martire (cioè il pastore alla maniera di Gesù) dice a chi incontra: «Io ti dono la mia vita nella fiducia che tu l’avrai e che io non la perderò». Così si diventa sorelle e fratelli, cioè Chiesa.

Commento di don Luigi Galli


04 maggio 2017

 
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