«La corruzione è un male più grande del peccato. Più che perdonato, questo male deve essere curato. La corruzione è diventata naturale, al punto da arrivare a costituire uno stato personale e sociale legato al costume, una pratica abituale nelle transazioni commerciali e finanziarie, negli appalti pubblici, in ogni negoziazione che coinvolga agenti dello Stato. È la vittoria delle apparenze sulla realtà e della sfacciataggine impudica sulla discrezione onorevole». Così parlava, pochi giorni fa Papa Francesco, in un punto poco citato del noto discorso all’Associazione internazionale di diritto penale.
Nelle stesse ore a Roma, a Contromafie, don Luigi Ciotti ha ricordato alla politica il ruolo della corruzione come «incubatrice del fenomeno mafioso» e chiesto a Governo e Parlamento una legge anticorruzione completa senza sconti e compromessi.
Indagini in corso - pescate a caso dalle notizie degli ultimi giorni - da Milano a Santa Maria Capua Vetere passando per Roma e L’Aquila sono perfette per tradurre in esempi concreti i concetti di cui sopra. Storie diverse, sospetti pesanti, su cui processi faranno chiarezza. Si parla di appalti e subappalti per grandi opere, collegate all’Expo, finiti nelle mani della ‘ndrangheta con la complicità di istituzioni, politica, imprenditoria. Sversamento di rifiuti tossici nei fiumi per risparmiare costi di smaltimento della produzione di prodotti caseari. Tangenti per aggiudicarsi appalti per trasporti, pulizie e vigilanza privata nella Pubblica amministrazione. Un aeroporto diventato discarica abusiva per il materiale di risulta delle macerie del terremoto.
Storie diverse si diceva, che hanno in comune, oltre a un bel campionario di reati contestati, scarsissima trasparenza, propensione alla circolazione occulta di denaro destinato a pratiche illecite, violazione della concorrenza leale nel fare impresa, complicità assortite di tanta zona grigia.
Nelle stanze del potere, intanto, tiene banco, giustamente, l’economia: l’esigenza di creare lavoro, il bisogno di crescita, l’incoraggiamento agli investimenti stranieri. Una sfida tanto più difficile in un Paese in cui l’economia corrotta fa concorrenza con successo a quella sana, in cui gli appalti finiscono ai più scorretti, in cui rispettare le regole non pare conveniente.
Ma davvero qualcuno crede, in buonafede, che si possa risanare l’economia senza la volontà politica di ridurre la corruzione quantomeno a una soglia tollerabile?