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venerdì 20 settembre 2024
 

Don Enrico Smaldone, il prete della Città dei ragazzi

Volevo segnalarvi una storia bella, secondo me. Necessaria per i tempi che corrono. Lui è don Enrico Smaldone, nato nel 1914 ad Angri (SA) e ivi deceduto il 29 gennaio 1967. Sacerdote prima, capo scout dopo, e fondatore della città dei ragazzi fino alla fine dei suoi giorni. La città dei ragazzi fu un “sogno” e un miracolo, realizzato nell’immediato dopoguerra, un progetto da 500 milioni (nel 1949!) e realizzato con i soli fondi della… Divina Provvidenza. Ma cosa voleva essere e cosa fu la città dei ragazzi di don Enrico? Il rifugio di ragazzi orfani o abbandonati, reduci di quella guerra che aveva lasciato miseria e solitudine, soprattutto fra i più piccoli. E a essi un giorno don Enrico lancia il suo sguardo e decide di realizzare una “città” che non fosse solo una semplice casa di accoglienza, ma un luogo dove i suoi abitanti, cittadini di tutto rispetto, si sarebbero autogovernati eleggendo il sindaco, la giunta e tutte le cariche di una vera città. Lì avrebbero imparato un mestiere (le officine di don Enrico producevano manufatti per imprese nazionali e importanti), lì avrebbero ritrovato la loro dignità di esseri umani. E lungo questo percorso c’è stata una serie di “coincidenze”, come le chiamava don Enrico. Miracoli, secondo chi ne è stato testimone. Di ritorno da un campo scout, don Enrico si accorge che Carminuccio, un ragazzino sempliciotto, è stato lasciato al campo! Si sono scordati di lui! Disperazione e angoscia. Il tempo di organizzare il viaggio per ritornare sul luogo del campo che Carminuccio spunta dall’angolo della strada, a piedi e da solo. Il campo era a 200 km di distanza. E Carminuccio non poteva essere tornato da solo e a piedi. «No», confessa il ragazzo, «mi ha accompagnato una signora! Era molto bella e aveva un abito bianco e celeste». Nessuno fiatò. «Ma siete venuti a piedi?». «Sì», la risposta di Carminuccio. «Chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto». Così don Enrico trovava i fondi per la sua città. E tra coloro ai quali bussò, umili e illustri. Tra gli umili, gli operai della locale industria tessile Mcm che si privavano della mensa per donare il ricavato a don Enrico; tra gli illustri, Achille Lauro, armatore napoletano che lo invitò a Napoli insieme ad alcuni suoi ragazzi e gli diede una grossa donazione. Ma la cosa più particolare e bella di questo sacerdote è la memoria che i suoi ex cittadini hanno di lui. Uno di essi, originario di Sapri, di circa 70 anni, è ritornato alla città dei ragazzi, che ancora oggi esiste, dopo 50 anni. E ha pianto tutto il suo grande affetto per quello che definisce “mio padre”, don Enrico. Padre per lui e tutti i ragazzi ospiti di quella città.

MARIA ROSSI

Grazie per questa bella storia di un vero prete di Cristo. Abbiamo bisogno di avere davanti agli occhi figure così, che ci riconciliano con la vocazione sacerdotale e anche con il cuore del Vangelo: l’amore verso tutti, specialmente i più fragili e bisognosi. Prima di morire, don Enrico confidò, abbracciandolo, all’amico prete don Pietro Selvino: «Muoio sereno: non ho paura: la vita l’ho spesa per gli altri». Maria è anche autrice di un romanzo sulla vita di don Smaldone, edito dal Centro Iniziative Culturali e intitolato Lumascuro, il prete della città dei ragazzi.


13 marzo 2019

 
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