Lc 11,27-28 - Sabato della XXVII settimana del Tempo ordinario - Anno Pari - (12 ottobre 2024) -
È bello vedere come delle volte il Vangelo sa rendere pienamente l’idea del clima in cui Gesù è realmente coinvolto. Uomini, donne, bambini, vociare, mercanti, silenzi, gesti, coreografie di chi rovina ogni protocollo per mettersi ad urlare verità che non possono essere taciute: “In quel tempo, mentre Gesù parlava, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!»”.
Il Vangelo ci spiega in maniera incisiva, il perché Maria non è uno strumento anonimo per logiche più alte. Maria è beata per quella relazione profonda che ha costruito con il figlio. E la relazione parte dall’ascolto, dal comunicare, dal creare appunto comunione, relazione. La parola simboleggia un legame molto più profondo del semplice legame biologico. Anzi, la relazione diciamo che è così insita dentro di noi che persino quando un bambino è nel grembo della propria madre non è lì solo in un parcheggio di carne della durata di nove mesi. È lì in una relazione profonda e intima di cui tutto ciò che avverrà dal parto in poi ne sarà solo un ulteriore specificazione.
La beatitudine di Maria non è meramente biologica, ma è in quel dato relazionale insito anche (ma non solo) nella carne e nel sangue di madre. Perché per essere genitore non basta mettere al mondo un figlio. Essere genitore implica qualcosa che si chiama libertà. È la libertà di scegliere una relazione. È scegliere ciò che si presenta a noi semplicemente come dato. La nostra umanità è tutta racchiusa in quel simbolico relazionale che trasforma la semplice natura in qualcosa di più. Maria non è “un mezzo”, è “in mezzo”. Ella è tra Dio e l’umanità. E attraverso la sua capacità di fare spazio, di ascoltare, di aprire, di accogliere, ha reso possibile un incontro.
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