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“Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”. Ecco che cosa viene chiesto a un cristiano: superare la semplice esecuzione del bene, per abbracciarlo in maniera profonda. E per far questo non bisogna indagare sulle nostre azioni esterne, ma sulle intenzioni del cuore.
Infatti pensiamo che tutto quello che viviamo dentro di noi è solo affare nostro, ma Gesù dice chiaramente che ciò che più ci definisce è quello che ci passa per il cuore e non semplicemente quello che facciamo esteriormente. Dentro di noi possiamo uccidere, impossessarci di ciò che non è nostro, tradire, sfruttare, ingannare. Tutte cose che apparentemente non le vede nessuno, ma sono ciò che più conta di noi.
Dobbiamo però fare un opportuno chiarimento: non dobbiamo confondere il cuore con i pensieri. Possono infatti venire nella nostra testa pensieri negativi (odio, rancore, lussuria, rivalse…) ma il fatto che questi pensieri si affacciano dentro di noi non ci definiscono. Assecondarli però si. Il cuore è ciò che dà credito a questi pensieri. Se un pensiero è buono, assecondarlo ci fa vivere in maniera buona. Se un pensiero è cattivo assecondarlo ci incattivisce, al di là se poi esternamente ciò si veda o meno.
Non a caso quando all’inizio della celebrazione eucaristica facciamo l’atto penitenziale, diciamo chiaramente di che natura possono essere i nostri peccati: pensieri, parole, opere ed omissioni. Assecondare dei pensieri ci fa peccare. Usare parole covate nell’odio del cuore ci fa peccare. Fare qualcosa di sbagliato rivela la malizia che si è accumulata nel nostro cuore. Non fare il bene che potremmo fare ci dice quanto il nostro cuore è diventato di pietra. Insomma il cuore non lo vede nessuno, tranne Dio, eppure è la cosa a cui dovremmo far più caso.
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