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C’è una sorta di strana reazione che i discepoli hanno tutte le volte che Gesù parla del Suo destino. Ogni annuncio della Croce è accompagnato da un discorso deludente da parte dei discepoli. Anche nel Vangelo di oggi capita qualcosa di simile: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà».
La risposta è che Giacomo e Giovanni si fanno avanti per chiedere qualcosa di assurdo: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù parla di Croce e loro cercano i primi posti. Dopo duemila anni non è cambiato molto forse perché l’animo umano è sempre lo stesso, e la nostra paura della morte la cerchiamo di esorcizzare con la rassicurazione della gloria di questo mondo.
La lezione cristiana però è che non si può essere discepoli di un Re crocifisso e risorto senza che ciò abbia delle chiare conseguenze nei nostri comportamenti e nelle nostre scelte. Un cristiano, qualunque vocazione abbia, non può vivere di carrierismo, ma di questa logica che Gesù spiega chiaramente: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Qualunque cosa stiamo facendo in questo momento della nostra vita dovremmo domandarci se lo stiamo facendo per servire gli altri o per servirci degli altri. E dove dovremmo trovare la forza di servire sempre il prossimo? Nella certezza che il nostro più grande servitore si chiama Gesù, ed è Lui che ha cura di noi, di conseguenza noi possiamo smettere di preoccuparci di noi stessi e donarci totalmente.
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