L’agnello di Dio di Francisco Zurbarán (1598-1664). Madrid, Museo del Prado.
"Ecco l'agnello di Dio,
colui che toglie
il peccato del mondo"
(Giovanni 1,29)
Il lettore praticante, che è abituato a sentire questa frase ogni volta che il sacerdote leva l’ostia davanti ai fedeli prima
della Comunione, si chiederà: perché
mai proporre una simile dichiarazione,
pronunciata dal Battista, tra le parole difficili presenti nei Vangeli? La risposta è
celata proprio nella densità tematica che
è sottesa a una frase apparentemente
chiara, semplice e abituale nella fede e
nella liturgia cristiana. Cerchiamo, allora, di far passare davanti a noi le tre componenti che la costituiscono.
Innanzitutto l’agnello di Dio. Sulle labbra del Battista forse c’è un rimando
all’agnello simbolico caro a quella letteratura popolare nota come “apocalittica”:
è, allora,
l’agnello mite e indifeso che
paradossalmente piega e sconfigge le
belve del male.
Anche nell’Apocalisse di
Giovanni si leggerà, infatti, che i seguaci
della Bestia satanica «combatteranno contro l’Agnello [Cristo], ma l’Agnello li vincerà, perché è il Signore dei signori e il Re
dei re» (17,14). Il simbolo, però, rimanda
spontaneamente anche all’agnello pasquale: è ciò che l’evangelista ribadirà
quando ricorderà che al Cristo crocifisso
non vengono infrante le gambe, proprio
come accadeva all’agnello immolato a Pasqua che non aveva nessun osso spezzato
(Giovanni
19,36).
Una terza allusione è,
però, ancor più rilevante: del Servo sofferente messianico, cantato dal profeta
Isaia, si dice che «era come agnello condotto al macello» (53,7).
Tra l’altro, in aramaico, la lingua usa-
ta dal Battista, è curioso notare che esiste un vocabolo,
talya’
, che significa sia
“servo” sia “agnello”. Con questa interpretazione che collega l’agnello al Servo
del Signore possiamo spiegare la seconda locuzione,
colui che toglie
. Del Servo
messianico, infatti, si diceva che «si era
addossato i nostri dolori... portava il
peccato di molti» (Isaia
53,4.12). Il verbo ebraico usato,
nasa’, indica sia “portare” sia “togliere”. I due significati sono in pratica omogenei:
il Messia, e
quindi Cristo, si addossa su di sé il male dell’umanità per cancellarlo, lo porta per toglierlo via.
E qui affiora indirettamente un ulteriore aspetto
dell’agnello: esso è il sacrificio perfetto e vivente che espia il peccato e riconcilia l’umanità con Dio.
Si intrecciano, così, i tre profili
dell’agnello apocalittico, pasquale e messianico che abbiamo descritto.
Rimane
ora l’ultima locuzione:
il peccato del mondo
. La liturgia eucaristica cattolica ha introdotto il plurale “i peccati” cancellati
dalla vittima sacrificale Cristo. Questa rilettura ha certamente un rimando neotestamentario, perché nella Prima Lettera
di Giovanni si legge che Cristo «si manifestò per togliere i peccati» (3,5). Il singolare usato dall’evangelista nella frase che
abbiamo esaminato è un riferimento al
peccato radicale del mondo, quello di
non credere nel Figlio di Dio.
«Se foste ciechi», dirà Gesù ai farisei dopo la guarigione del cieco nato, «non avreste nessun
peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo!”, il vostro peccato rimane» (Giovanni
9,41). L’incredulità ostinata è la base dalla quale si leva e cresce la pianta perversa
dei nostri peccati molteplici.