È stato nello scorso giugno in occasione della “Marcia per Gesù”, un raduno a cui hanno partecipato oltre 340 mila fedeli delle chiese evangeliche brasiliane a San Paolo, che Atila Baros ha lanciato il suo progetto alternativo a Facebook. Si chiama Facegloria, bandisce rigorosamente turpiloquio, pornografia, violenza e qualsiasi cenno al consumo di stupefacenti e alcol ed ha assunto un certo rilievo nella stampa internazionale. Un tentativo di “depurare” una rete sociale da contenuti ritenuti inquinanti delle relazioni digitali esercitando un controllo serratissimo sui contenuti, operazione che diventa sempre più complessa quanto più crescono gli utenti. Lo sforzo di creare reti sociali alternative, come Ello (ello.co) o Diaspora (joindiaspora.com), ha avuto risultati molto limitati rispetto ai colossi che contano milioni di utenti, anche fuori da obiettivi pastorali o contesti legati alla sfera religiosa.
Il coraggioso esperimento di Facegloria risponde alla logica degli ecosistemi digitali che vengono definiti “walled garden”, i giardini recintati nei quali non possono entrare agenti inquinanti. Una sorta di Eden prima del morso al frutto proibito, che richiama a ragioni di correttezza formale ma può evocare anche l’idillio di una dimensione libera dal rischio dell’errore.
Facebook e altre reti sociali non sono immuni dagli stessi rischi che si corrono nella dimensione in presenza, anche se possono facilitarne il contatto a amplificarne la portata. Sarebbe curioso chiedere a Baros e agli altri fondatori di Facegloria se si umanizza di più la persona sottraendola al rischio o educandola nella libertà.
Il social network lanciato dalle Chiese evangeliche ha comunque un precedente anche in area cattolica, Xt3.com, lanciato nel giugno 2008 in previsione della Giornata mondiale di Sydney. Se vi suona poco familiare o non siete tra i 70000 aderenti a questa rete digitale forse vale la pena di continuare ad abitare i luoghi potenzialmente pericolosi o inquinati ma liberi umanizzandoli un po’, se possibile.