Caro don Antonio, sono un giovane che conduce una vita seria e virtuosa, ma ho paura alla fine della vita di non essere salvato. Per questo da un decennio faccio parecchie pratiche di pietà, per tentare di cambiare questo mio pensiero; anche cinque ore al giorno di pratiche devozionali. Che cosa mi consiglia di fare per capire e cosa fare per correggermi?
STEFANO
Caro Stefano, fai bene a condurre una vita seria e virtuosa e a dedicare spazio e tempo alla preghiera. E non devi avere alcuna paura riguardo alla salvezza. Ce lo ricorda san Paolo scrivendo ai Romani: «Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (8,15). Dio non è un giudice pronto a condannarci a ogni minimo sbaglio, o un padrone inflessibile, ma un padre misericordioso. Di lui possiamo darci nella massima serenità. Anzi, afdandoci a lui con semplicità, possiamo comprendere quello che è giusto fare e anche come pregare.
Lo spiega Gesù nel Vangelo: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate». Gesù anzi consiglia questo: «Quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Matteo 6,6-8). La preghiera è un dialogo con il Padre, che avviene prima di tutto nel segreto del nostro cuore. Le pratiche devozionali possono essere utili, ma ciò che conta è questa relazione diretta con il Padre, cuore a cuore, con fiducia e semplicità.