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giovedì 05 dicembre 2024
 

I Domenica di Avvento (ANNO C) - 1° dicembre 2024

Testimoniare la luce che viene

Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo.

Luca 21,36

La Chiesa ogni anno torna a celebrare tutto il mistero dell’uomo in Cristo; nell’Avvento di Gesù celebra la sua prima venuta «nell’umiltà della nostra natura umana», quando portò a compimento la speranza di Israele, e attende la sua seconda venuta nello «splendore della sua gloria » alla fine dei tempi. L’Avvento è il tempo dell’attesa: attesa della salvezza definitiva, del giudizio del Signore e del compimento del Regno annunciato da Gesù. È il tempo della vigilanza: tra la sua prima e seconda venuta è il tempo della Chiesa, in cui è chiamata a tendere verso il regno senza fermarsi o voltarsi indietro, ma sempre impegnata a evangelizzare. È, poi, il tempo della preghiera: se la Quaresima ha un carattere penitenziale, l’Avvento esprime una nota di gioia e serenità, la trepidazione dell’attesa di un lieto evento. Della pagina evangelica impressionano le immagini tempestose e apocalittiche, tipiche di quei secoli e usate per indicare simbolicamente l’irruzione efficace di Dio nella storia confusa e tragica dell’uomo. In essa c’è anzitutto una verità da non dimenticare: la storia, quella di ogni individuo e quella dell’umanità intera, ha un termine.

Vittorino Andreoli osservava: «A me pare che la nostra civiltà stia morendo perché cerca in tutti i modi di dimenticare la morte». Per questo il Vangelo ci ricorda la fine di tutto: perché tutto oggi abbia un senso e sia vissuto in modo costruttivo e responsabile. È vero, si parla di fatti sconvolgenti. Ma se crolla un mondo ingiusto, perché si dovrebbe soffrire? Crolli tutto quello che si oppone alla nascita di un mondo nuovo, che dovrebbe prendere il nome ricordato da Geremia «Signore- nostra-giustizia» (I Lettura). Queste tre parole unite insieme sembrano la formula magica che l’umanità ripete da secoli in tutte le lingue che sogna nelle sue attese, ma che da sola, con le sue forze, non è riuscita mai a costruire. Questa giustizia non deve essere solo attesa, come se dipendesse solo dall’iniziativa di Dio, ma deve essere anticipata e incarnata nel presente. Paolo, scrivendo ai Tessalonicesi, chiede a Dio di rendere saldi i loro cuori nella santità, che già hanno ricevuto nel Battesimo. Un amore fraterno, che si apre a tutti, anche a chi non fa parte della comunità, rappresenta la migliore preparazione e la più solida garanzia per l’incontro decisivo dell’ultimo giorno (II Lettura).

È importante perciò, come raccomanda il Vangelo, pregare e vegliare. Vegliare è tenere gli occhi aperti, è camminare non da sonnambuli, in uno stato di incoscienza, ma attenti a tutti i segni, anche piccoli, che siano rivelatori della presenza di Dio. Pregare è ascoltare Dio, parlargli, ringraziare, domandare. E soprattutto nutrire la propria speranza. Il cristiano non è uno che non conosca le fatiche oscure dell’esistenza o quelle interrogazioni che sono il pane quotidiano di tante esistenze lacerate dal dubbio e dalla disperazione. Anche lui spesso si trova immerso nel cuore della notte. Ma è capace, vegliando e pregando, di testimoniare, nel cuore della notte, la luce che viene.


28 novembre 2024

 
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