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giovedì 20 marzo 2025
 

I profughi mi hanno distrutto la casa

Buongiorno direttore, ho acquistato con la liquidazione, dopo 40 anni di lavoro, un appartamentino che ho affittato a una famigliola di profughi di colore su consiglio dei servizi sociali del Comune della mia città. Il capofamiglia lavorava e per alcuni mesi la situazione è stata soddisfacente. Quando hanno cominciato a non pagare l’affitto mi sono rivolta agli assistenti sociali. Il Comune mi ha dato un aiuto economico e siamo andati avanti, anche perché c’erano figli minori.

Il capofamiglia ha perso il lavoro a causa della crisi e quindi si è verificato un arretrato economico notevole. Alla fine di un cammino lungo e difficoltoso arriva l’agognato sfratto. Ed ecco la beffa della distruzione dell’appartamento! È stato doloroso assistere alla distruzione della propria casa guadagnata con il lavoro a causa di una famiglia incivile e senza il minimo rispetto per i beni altrui. Morale della favola: ho dovuto sborsare di tasca mia per la ristrutturazione interna. La famiglia di colore si è resa irreperibile. Tutto questo mi ha illuminato: sono sincera, non sono più disponibile a locare a persone di colore a costo di essere giudicata razzista dalla Chiesa cattolica.

ANNAMARIA S.

Sono molto dispiaciuto per quello che ti è successo. Purtroppo non sempre, quando si fa del bene, si è ricambiati. Anzi, può capitare anche il contrario, tanto da trovarsi con una casa distrutta. Mi vengono in mente due riflessioni. La prima è che i buoni e i cattivi non stanno tutti da una parte. Non tutti gli immigrati e le persone di colore sono “buoni”. Lo stesso però vale per gli italiani e per i “bianchi”. C’è, insomma, una responsabilità personale che va al di là del Paese o della regione d’origine e del colore della pelle. Pensiamo a come talvolta ci considerano all’estero: non tutti gli italiani, per esempio, sono mafiosi. Non è giusto giudicare tutto un popolo o una categoria di persone facendo di ogni erba un fascio.

La seconda riflessione riguarda le nostre azioni. Ci si rimane male quando non si ottiene nemmeno un grazie da chi abbiamo beneficato, e ancor di più quando si riceve del male. Ma il bene che si compie ha un valore in sé, è giusto compierlo sempre e comunque. È la nostra coscienza che ce lo dice, è il nostro cuore che ci ricorda che, come ebbe a dire san Giovanni XXIII, «la bontà rende serena la nostra vita».


19 ottobre 2018

 
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