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Rito romano Aggiornamenti rss don Gianni Carozza

III DOMENICA DI AVVENTO - (ANNO A) - 15 DICEMBRE 2013

Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».

Matteo 11,2-11

LA FORZA DI UN DIO CHE CI AMA E CI COINVOLGE 

La presenza di Gesù va riconosciuta per quello che lui è veramente e la nostra attesa di lui chiede di essere purificata dalle molte immagini e tradizioni che, radicate nella nostra mente, possono affievolire e spegnere la sorpresa per l’aspettativa più autentica del Natale. Giovanni attendeva un Messia-giudice. E un po’ castigatore. Così l’aveva presentato alla gente: «Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile» (Mt 3,12).

Anche la tradizione profetica leggeva l’aspettativa in questo senso e la realtà storica del tempo spingeva molti a invocare una purificazione dei cuori e delle istituzioni religiose e politiche: come si sa, Roma era una presenza in tensione continua con le tradizioni religiose del popolo, che non poteva contare sui propri capi, divenuti corrotti e collusi con il potere dominante.

Anche la nostra attesa corre due rischi: quello di aspettarsi poco, molto poco al di là delle emozioni e delle tradizioni d’una festa, e quello di pensare che il Natale prossimo potrà mettere a posto le cose di questa nostra epoca travagliata. Non manca chi forse vede già qualche segno in questa direzione… Certo i nostri tempi non sono facili: vi dominano egoismi e personalismi; e noi ci troviamo smarriti e confusi. Ci rendiamo conto che la nostra è una fede fragile, troppo fragile.

IL VOLTO DI DIO.

Giovanni, racconta il Vangelo, è in carcere. Forse ha la sensazione di aver miseramente fallito e si pone tante domande sul progetto che Dio ha a suo riguardo. Non solo: gli parlano di Gesù e gli riferiscono quello che dice e fa. Egli parla di misericordia e di conversione per entrare nel Regno dei Cieli, guarisce i malati, frequenta i peccatori. Non mostra il volto minaccioso del Dio-giudice. Ed è qui che nasce una domanda gravida di conseguenze: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?». Se dobbiamo aspettarne un altro, la nostra attesa durerà ancora a lungo e sarà faticosa!

Se invece sei tu, occorre che ripensiamo quanto e come abbiamo creduto di Dio e del suo agire nella storia umana. A pensarci bene molti di noi condividono questo dubbio: veniamo da tempi che, pur non così vicini – mi riferisco ai decenni prima del Concilio –, ci hanno trasmesso l’idea di un Dio che tutto vede, tutto scruta, su tutto domina… per giudicare e punire. Forse non ci siamo ancora liberati da queste angustie, figlie di una fede che sprigiona più paura che amore a Dio. Una fede così ha avuto spazio in tempi passati per ragioni che sarebbe lungo spiegare ora; ma la lettura del Vangelo e la comprensione del senso più profondo del mistero che celebriamo nei sacramenti dovrebbero suscitare in noi una grande fiducia e una speranza liberante e confortante: l’agire di Gesù, così misericordioso, il suo cercare il peccatore per condurlo a salvezza devono diventare il fulcro della festa ormai prossima.

Dio entra nel mondo, lo accoglie così com’è e la sua bontà lo conduce a nuova speranza. Questo Natale sia per tutti noi la manifestazione, abbagliante e straordinariamente consolante, della forza di un Dio che ci ama coinvolgendoci in un cammino di conversione, di pace, di novità, di gioia. E così, con la grazia che viene dall’alto, daremo fiducia al mondo.


11 dicembre 2013

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