Sembrava l'uovo di Colombo, invece la possibilità di inserire il proprio Tfr in busta paga, spalmato sui 12 mesi o in una "botta" annuale, è solo un barbatrucco per incamerare più tasse da parte del Governo. All'inizio ne parlava solo il "solito" Beppe Scienza, il grillo parlante della finanza, nel nostro piccolo anche noi attraverso articoli e analisi, poi, man mano che si delineava l'operazione, l'hanno criticata tutti, non solo la Confindustria che vedeva allontanarsi pericolosamente la liquidità adoperata dalle aziende, ma anche i sindacati e perfino la Banca d'Italia, anche se per ragioni diverse. Il Tfr in busta paga infatti non solo prosciuga le casse di Inps e delle imrpese, ma fa scattare le aliquote superiori e provoca un aumento delle tasse su quella cifra, che se capitalizzata fino alla pensione sarebbe meno fiscalizzata. Non propriamente un'operazione di equità, perché a mettere in busta paga il Tfr, come ci ha spiegato la segretaria della Cisl Furlan, in linea di massima sono i lavoratori che ne hanno più bisogno (per rateizzare un debito, per il mutuo, per l'acquisto di un'automobile).
Dunque lo Stato con l'operazione Tfr si comporta, se non come un usuraio, quanto meno come un banchiere, offrendo ai cittadini lavoratori che ne hanno più bisogno i loro stessi soldi, secondo il vecchio detto "pochi, maledetti e subito", ovvero a più alti interessi. Chissà chi sono i consiglieri economici di Matteo Renzi che gli hanno soffiato nell'orecchio una furbata del genere. Forse il premier dovrebbe aìbituarsi a rottamare di più certi cattivi consigli.