Immagina tu, bianco razzista, che fai chiasso se in un locale pubblico entra un uomo dalla pelle scura o gialla e non perdi l’occasione per manifestare il tuo disprezzo e la tua avversione per la gente di colore, immagina di trovarti coinvolto in un incidente stradale su una via poco frequentata e di star lì a dissanguarti, mentre qualche auto con un bianco alla guida rallenta, ma non si ferma. Immagina che a un certo punto si trovi a passare un medico di colore e si fermi per soccorrerti…». I nostri lettori hanno certamente intuito in filigrana a questo racconto l’attualizzazione di una celebre parabola di Gesù, quella del Buon Samaritano (Luca 10, 25-37).
È stato un esegeta che fu anche vescovo, Vittorio Fusco (1939-1999), a creare questo parallelo molto incisivo e adatto al Giubileo che si celebra in questo fine settimana, quello del Mondo del Volontariato. La parabola di Gesù, com’è noto, costituisce il nerbo anche dell’enciclica Fratelli tutti, che papa Francesco ha emesso il 3 ottobre 2020 «presso la tomba di san Francesco, alla vigilia della festa del Poverello».
Tutti conoscono la potenza di quella narrazione evangelica che oppone la religiosa rigida, formale ed egoistica del sacerdote e del levita alla generosità operosa e affettuosa dell’“eretico” di Samaria che «prova compassione» per quello sventurato: il verbo greco (splanchnízomai) usato ha una connotazione materna, evocando le viscere che provano emozioni intime, intense e fin delicate. Importante è anche la cornice della parabola. La domanda del dottore della legge «Chi è il mio prossimo?» è fredda e orientata a selezionare chi dev’essere aiutato o no sulla base di legami definiti e codificati.
La domanda che Gesù gli rilancia è ben diversa: «Chi è stato prossimo di colui che è caduto in mano dei briganti?». Il ribaltamento è evidente. Invece di discutere “oggettivamente” sulla determinazione del prossimo (italiano, europeo, africano, asiatico, migrante, clandestino), Cristo invita a comportarsi “soggettivamente” da prossimo nei confronti di chi è in necessità e interpella la nostra comune umanità, chiunque egli sia.
Nell’enciclica di papa Francesco c’è un contrasto che la regge: da un lato, «le ombre di un mondo chiuso» e timoroso, spesso anche a livello sociale con l’incombere dei nazionalismi, dei sovranismi e degli identitarismi; d’altro lato, ecco invece il coraggio di «generare un mondo aperto».
È ciò che testimonia il volontariato dai mille volti e impegni. Costoro stendono operosamente la mano verso l’abbandonato, il misero e l’ultimo, prescindendo dalle sue ragioni e dai suoi torti, superando l’indifferenza di una società che si infastidisce, gira lo sguardo altrove e ignora gli sventurati sui marciapiedi della storia e lungo le periferie esistenziali.
Concludiamo ancora con la Fratelli tutti: «Se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, piazze, luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna» (n. 277).