Da giorni nella mia diocesi è arrivata
la reliquia di san Giovanni Paolo
II: alcune gocce di sangue su un tessuto.
Grande è stata la partecipazione dei fedeli,
e altrettanto emozionante quando
la reliquia è entrata in chiesa con un
sottofondo registrato della voce del
santo Papa. Ne ho parlato con amici e
conoscenti, e sono rimasta esterrefatta
quando li ho sentiti scagliarsi contro
il culto delle reliquie, definendole una
macabra superstizione. Non sono stata
in grado di reggere la discussione,
ho soltanto sorriso e ognuno è rimasto
sulle proprie posizioni. Mi sarebbe piaciuto
saper rispondere.
PAOLA
Lo scetticismo dei tuoi amici, cara
Paola, deriva senz’altro da una non conoscenza
del culto delle reliquie. Forse
hanno in mente una distorta religiosità
popolare che ne ha fatto un uso magico,
quasi fossero dei talismani per proteggerci.
O avranno letto di quando nel Medioevo
se ne faceva commercio o se ne fabbricavano
di false per ragioni di prestigio
e denaro. Non c’è nulla di anacronistico
nella venerazione delle reliquie, se intese
secondo il Vaticano II, che afferma: «La
Chiesa, secondo la sua tradizione, venera
i santi e tiene in onore le loro reliquie autentiche
e le loro immagini. Le feste dei
santi infatti proclamano le meraviglie
di Cristo nei suoi servi e propongono ai
fedeli opportuni esempi da imitare». Venerare
una reliquia è venerare la misericordia
di Dio che s’è realizzata nel santo.
Occorre, quindi, ricondurre la devozione
alla giusta dottrina della Chiesa.