Rev.mo don Rizzolo, sono rimasto molto colpito dall’omicidio della giovane coppia di Lecce da parte di un giovane studente. È stato realizzato «con spietatezza e totale assenza di ogni sentimento di compassione e pietà per il prossimo», riferiscono gli inquirenti, e permeato da una «macabra ritualità». Il movente sembra derivi in parte da invidia per la felicità della coppia. Psicologi e criminologi ci raccontano di un soggetto con supposte gravi turbe mentali, che hanno provocato un comportamento anomalo e fuori da ogni normale schema di morale umana. Spesso mi chiedo quale sarà il giudizio divino finale su atti così efferati determinati da turbe mentali, che però portano ad azioni criminali terribilmente lucide e paradossalmente coscienti. Prevarrà la misericordia e il perdono perché la follia di un individuo non può essere coscientemente governata? Oppure il giudizio sarà negativo perché nell’atto efferato c’è una lucidità malvagia, che non può essere perdonata? Quale sarà il confine per cui un giudizio da giusto (e quindi di condanna) possa diventare misericordioso e quindi degno di perdono.
ROBERTO RINALDI - Bussero (Mi)
La teologia insegna che, perché ci sia peccato, oltre alla materia grave, serve piena consapevolezza e deliberato consenso. Gesù stesso, peraltro, ha detto che qualunque peccato sarà perdonato, tranne la bestemmia contro lo Spirito Santo (Mt 12,31). Certo, è necessario anche un tempo di purificazione, come insegna la dottrina sul Purgatorio. È un’esigenza che ciascuno sente o sentirà dentro di sé, per il male commesso, di fronte all’amore di Dio. Il caso di Lecce mi ha però colpito, al di là delle supposte turbe mentali, per la motivazione dell’omicida: invidia della felicità altrui. Vedo in questo il frutto malato di una mentalità individualistica: conto solo io, il mio benessere, la mia felicità. Tutti mi fanno ombra. Il materialismo dilagante fa consistere la stessa felicità in ciò che si possiede, e così sono intesi anche il ragazzo o la ragazza altrui. Nel Vangelo l’invidia è definita “occhio cattivo” (cfr Mt 20,15). La soluzione è un “occhio buono”, che riconosce il bene e si impegna per esso, che gioisce anche della felicità altrui.