Il modo con cui si è arrivato alla nomina di Paolo Gentiloni, in sostituzione di Lady Pesc Mogherini, dice molto sul profilo del Governo Renzi, nato dal successo politico dell’ex sindaco di Firenze, avallato e consacrato da “re Giorgio”. Com’è noto la nomina è stata preceduta da un breve stallo. Renzi premeva per una candidatura tipicamente “renziana”: donna per mantenere la par condicio di genere, giovane, preparata, anzi "secchiona", ma non necessariamente dotata di esperienza sul campo. E’ la figura che predilige, soprattutto in funzione di quel “marketing” politico post-berlusconiano che ha segnato il suo stile innovatore e gli ha permesso di interpretare un certo tipo di elettorato desideroso di cambiamento. L'ex rottamatore voleva Marina Sereni, vicepresidente del Pd alla Camera, oppure la ricercatrice dell'Ispi Lia Quartapelle (32 anni) o in subordine Elisabetta Belloni, direttore generale del dipartimento Fondazione risorse e innovazione della Farnesina. Della promozione naturale del viceministro Lapo Pistelli, forse un po' troppo abile e autonomo, quindi tale da fargli ombra, nemmeno a parlarne.
Dal canto suo Napolitano, che nomina i ministri, come impone l'articolo 92 della Costituzione, su proposta del presidente del Consiglio, avrebbe voluto un personaggio più autorevole, ricco di esperienza, collaudato (come ha preteso per il ministero dell'Economia). Non che quelli nominati precedentemente abbiano particolarmente brillato. E infatti la diplomazia italiana non è mai stata così debole agli occhi del Paese e del mondo: il caso più emblematico è quello dei due marò, l’ombra permanente che pesa sulla Farnesina e che nemmeno “pié veloce” Renzi riesce a sbloccare. I dossier sul tavolo del prossimo ministro degli Esteri non mancano: Ucraina, Medio Oriente, Libia, Immigrazione, rapporti con Russia e Stati Uniti. L’epoca della globalizzazione ha rimesso l’Italia e le sue feluche al centro del grande gioco geopolitico mediterraneo. Non sembra, fino ad oggi, che la Farnesina ne abbia manifestato particolare consapevolezza.
Paolo Gentiloni, uno dei tanti esponenti della vecchia nomenclatura del Pd saliti sul "cargo" del vincitore, vanta quarti di nobiltà (gli spettano i titoli di Nobile di Filottrano, Nobile di Cingoli e Nobile di Macerata) ed è omonimo del conte Ottorino Gentiloni, legato al famoso patto che segna l'entrata, nel 1913, dei cattolici nel governo Giolitti. Anche in questo caso si tratta di un "patto" tra Renzi e Napolitano. Con Gentiloni, uno dei volti più autorevoli del Centrosinistra, l'ex rottamatore ha dovuto infatti venire a patti con re Giorgio, anche se si tratta di una scelta politica legata al Pd e non di una figura istituzionale o tecnica. Non ci resta che assistere a come questo ex ministro, già portavoce dell'allora radicale Rutelli, esperto soprattutto in comunicazioni e digiuno totalmente di politica estera affronterà la nuova sfida.