Ieri pomeriggio, 10 settembre, mi trovavo alla chiesa del Gesù per l’incontro con Papa Francesco in visita al Centro Astalli. Mi trovavo lì con quattro religiose della “squadra del Cie di Ponte Galeria” e con due giovani nigeriane vittime di tratta già ospiti delle nostre case di accoglienza. Mischiata tra la folla di volontari e profughi, provenienti da diversi Paesi - che si riconoscevano soprattutto dai loro costumi tradizionali e variopinti - ho avuto modo di riflettere ancora una volta sulla realtà e la bellezza di una Chiesa che unisce popoli di ogni nazione, lingua e cultura, in cui sentirci fratelli e sorelle, membri di una stessa famiglia umana. Si respirava un’atmosfera di festa e di attesa per una presenza e un messaggio che ancora una volta scuotesse le nostre coscienze e le nostre sicurezze. Un messaggio che ricordasse alla Chiesa prima di tutto, con i suoi molti organismi e istituzioni, le proprie responsabilità di fronte al dramma di migliaia di persone e di interi popoli, messi in ginocchio e costretti a fuggire da guerre, dittature, violenze e ingiustizie.
Durante l’attesa, la mia mente è andata a ricordi lontani di vent’anni fa, quando nel 1993, appena rientrata dall’Africa, mi sono trovata a lavorare in un centro della Caritas di Torino, dove dovevo affrontare l’emergenza di tante donne immigrate, provenienti da Paesi poveri, soprattutto dall’Africa e dall’Europa dell’Est. Molte di queste giovani non potevano essere riconosciute come “profughe” perché erano state “importate” in Italia con l’inganno, con la promessa di un lavoro e di un po’ di benessere, per poi trovarsi nelle maglie dei nuovi trafficanti di schiavi, costrette a soddisfare la grande richiesta di sesso a pagamento presente nel nostro Paese.
In quegli anni era ancora molto difficile capire la portata e la gravità di questo fenomeno, proprio perché nessuno conosceva approfonditamente questa nuova terribile forma di schiavitù. Quasi subito le Congregazioni religiose femminili, insieme alle Caritas diocesane e a diversi gruppi di volontariato, sono state tra le prime in Italia a leggere il fenomeno della tratta di esseri umani per sfruttamento sessuale e a offrire soluzioni alternative alla strada. Le religiose hanno messo a disposizione di queste giovani vittime, che si ribellavano agli sfruttatori, alcuni dei loro ambienti, per creare comunità di accoglienza e offrire protezione e aiuto per un nuovo progetto di vita.
Attualmente l’USMI nazionale, attraverso l’Ufficio “Tratta donne e minori”, creato nel 2000, coordina il prezioso e difficile servizio di circa 250 suore - appartenenti a 80 Congregazioni – che lavorano in un centinaio di progetti in Italia, spesso in collaborazione con la Caritas, o con altri enti pubblici o privati, con volontari e associazioni. Circa sei mila vittime, provenienti da vari Paesi, sono state accolte e recuperate nelle nostre strutture, mentre altre vivono ancora nelle nostre case- famiglia, dove sono accompagnate nella ricostruzione delle loro vite spezzate.
Durante l’incontro con Francesco nella chiesa del Gesù, anche noi religiose presenti abbiamo avuto modo di dire al Papa che portavano il saluto e la preghiera di tante donne che avrebbero voluto e desiderato di essere presenti, ma purtroppo sono rinchiuse dietro le sbarre del centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria (Roma), in attesa di essere deportate perché prive di documenti. Abbiamo espresso al Pontefice il nostro desiderio di poterlo incontrare come gruppo di suore che da dieci anni operano nel Cie, per condividere le nostre preoccupazioni per queste donne, l’ingiustizia che spesso subiscono e soprattutto il lavoro nostre e delle nostre comunità per contrastare la tratta di esseri umani. Il Papa ha ascoltato con interesse e serietà: sul suo volto si poteva leggere condivisione e preoccupazione.
Le stesse che ha espresso anche nel suo discorso, in cui ha commentato tre parole-chiave: servire, accompagnare, difendere. Molto forte e toccante è stato, in particolare, il messaggio rivolto a tutta la Chiesa, affinché l’accoglienza del povero e la promozione della giustizia non vengano affidate solo agli “specialisti”, ma impregnino tutta la pastorale, la formazione dei futuri sacerdoti e religiosi, l’impegno quotidiano di parrocchie, movimenti e gruppi ecclesiali, ma e anche soprattutto l’opera delle congregazioni religiose maschili e femminili.
Papa Francesco, con voce accorata, ha aggiunto: «In particolare vorrei invitare anche gli Istituti religiosi a leggere seriamente e con responsabilità questo segno dei tempi. Il Signore chiama a vivere con più coraggio e generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi vuoti… Carissimi religiosi e religiose, i conventi vuoti non servono alla Chiesa. I conventi vuoti non sono nostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati. Certo non è qualcosa di semplice, ci vogliono criterio, responsabilità, ma ci vuole anche coraggio. Facciamo tanto, forse siamo chiamati a fare di più, accogliendo e condividendo con decisione ciò che la Provvidenza ci ha donato per servire».
Possano questo messaggio e queste provocazioni aiutare la società civile e religiosa, i capi di governo e le organizzazioni umanitarie, laici impegnati nelle Caritas e nel volontariato e sopratutto la vita religiosa maschile e femminile a riscoprire l’attualità dei nostri carismi di fondazione, con la capacità e la lungimiranza di leggere i segni e le emergenze del nostro tempo.