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Cardinale arcivescovo e biblista

«Il suo sangue ricada su di noi!»

"Tutto il popolo esclamò:
«Il suo sangue
ricada su di noi
e sui nostri figli».

(Matteo 27,25)

Una vasta bibliografia è fiorita attorno al duplice processo subito da Gesù, quello presso il tribunale supremo giudaico, il Sinedrio, e la successiva istanza imperiale presso il governatore romano Ponzio Pilato. I Vangeli, nella loro relazione di quegli eventi, riflettono anche il contesto storico in cui la comunità cristiana allora viveva, con evidenti tensioni rispetto all’ebraismo da cui essa proveniva. Questo aspetto specifico è percepibile nella redazione matteana di quegli atti: essa è protesa a marcare le responsabilità del Sinedrio, attenuando quelle – decisive per la sentenza finale – del procuratore romano.

Significativi, al riguardo, sono due elementi evocati solo da questo evangelista: l’intervento della moglie di Pilato, «turbata in sogno a causa dell’uomo giusto» Gesù (27,19), e la lavanda delle mani, gesto in realtà biblico, scandito da una dichiarazione di Pilato: «Non sono responsabile di questo sangue». Si spiega, così, l’accento spostato sul Sinedrio e sul popolo ebraico, come appare nella frase veemente che abbiamo posto sotto la nostra attenzione. È evidente che con essa Matteo, il cui Vangelo era indirizzato a cristiani di origine giudaica, vuole ormai segnare fortemente il distacco dalla Sinagoga e mostrare l’apertura della Chiesa verso il mondo pagano.

Sappiamo, d’altronde, che i Vangeli non sono documenti storiografici in senso stretto: pur fondandosi su avvenimenti testimoniali e memorie storiche, essi offrono una molteplice rilettura teologica della figura, delle vicende e delle parole di Gesù di Nazaret. Non per nulla sono quattro e hanno alla base autori e situazioni originarie differenti. Dal punto di vista storiografico, è difficile essere drastici rispetto alle responsabilità della condanna a morte di Gesù. Certamente la pena di morte fu irrogata solo da chi aveva il potere giuridico di emetterne la sentenza, cioè il tribunale romano.

Non possiamo, però, ignorare che il Sinedrio aveva rubricato la colpa di Gesù da religiosa (la bestemmia) a politica (la ribellione a Cesare) per eliminare una figura imbarazzante per la classe dirigente religiosa e politica giudaica di allora. Si spiega così la frase della folla evocata da Matteo, secondo un’espressione biblica tradizionale per condannare un delitto o una persona pericolosa, assumendone la responsabilità (si veda 2Samuele 1,16 e 3,29). Questo, tuttavia, non può assolutamente autorizzare – come purtroppo è avvenuto con l’antisemitismo di matrice cristiana – a usare la frase matteana per sostenere l’assurda accusa di “deicidio” per il popolo ebraico (e neppure per i Romani).

Chiaro ed esplicito è stato il concilio Vaticano II quando ha affermato: «Sebbene le autorità ebraiche con i propri seguaci si siano adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua Passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi né agli Ebrei del nostro tempo» (Nostra aetate, n. 4). A questo, poi, si aggiunge il legame radicale del cristianesimo con Israele, affermato dallo stesso san Paolo nelle pagine appassionate dei capp. 9-11 della Lettera ai Romani o dalla frase suggestiva del Gesù di Giovanni: «La salvezza viene dai Giudei» (4,22).


23 agosto 2012

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