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mercoledì 21 maggio 2025
 

Israele e i razzi di Gaza

Un miliziano della jihad islamica a Khan Younis, nella Striscia di Gaza (Reuters).
Un miliziano della jihad islamica a Khan Younis, nella Striscia di Gaza (Reuters).

Da più di dieci anni  sul confine tra Israele e la Striscia di Gaza va in scena un copione stantio eppure micidiale: i gruppi della jihad islamica approfittano di una scusa qualunque e cominciano a lanciare razzi contro le città di Israele (Ashdod, Eshkelon, Sderot...); a quel punto Israele fa alzare i suoi caccia e colpisce questo o quell'obiettivo nella Striscia, uccidendo un numero più o meno alto di guerriglieri palestinesi. La cosa si ripete due o tre volte, finché la situazione si calma. Aspettando la prossima volta.

E' quanto è successo qualche giorno fa: gli israeliani hanno fatto un'operazione di routine sul confine della Striscia (sradicano i cespugli perché non offrano protezione ad eventuali attentatori), tre militanti palestinesi hanno piazzato un mortaio, gli israeliani li hanno uccisi, i razzi sono partiti (più di un centinaio), i caccia anche e così via.

Quando Sharon si ritirò da Gaza, la sua idea era che, senza più israeliani nella Striscia, Israele avrebbe potuto reagire a piacimento. In realtà così non è, perché Gaza è uno dei luoghi più densamente popolati al mondo e, se anche i miliziani della jihad non piazzassero le loro postazioni nei palazzi o dietro le scuole, i bombardieri israeliani non potrebbero scatenarsi senza fare un massacro di civili. Cosa che è puntualmente avvenuta nelle due occasioni in cui il copione è sfuggito di mano a questi pessimi sceneggiatori: nel 2008 e nel 2012, con due brevi ma crudelissime guerre.

Dopo ogni scontro tutti dicono di aver vinto, mentre in realtà tutti hanno perso. La situazione di Gaza è ovviamente un tormento per Israele e le sue città del Sud, ma è anche un'ottima scusa per mandare a monte tutti i negoziati con l'altra parte dei palestinesi, quelli della Cisgiordania. Come possiamo fidarci, dicono Netanyahu e i suoi; e se poi cominciassero a bombardarci anche da Betlemme (17 chilometri da Gerusalemme) o da Ramallah (venti chilometri?).

Naturalmente gli israeliani non ricordano che Israele è l'unico Stato al mondo a mantenere da quarant'anni un'occupazione militare di un territorio altrui, cosa che certo non invoglia i palestinesi a nutrire sentimenti di grande amicizia. Nella comune incapacità di non riconoscersi l'esclusiva della ragione e del merito, le due parti restano così: a detestarsi sempre e a spararsi ogni tanto.



 

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15 marzo 2014

 
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