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lunedì 19 maggio 2025
 

Kurdistan, tutta un’altra religione

La Madonna di Ainkawa, sobborgo di Erbil, all'ingresso della capitale del Kurdistan (foto F. Scaglione).
La Madonna di Ainkawa, sobborgo di Erbil, all'ingresso della capitale del Kurdistan (foto F. Scaglione).

Da Erbil - Il Kurdistan è uno di quei posti che confermano la famosa legge del calabrone: animale che, secondo tutte le leggi della fisica, non potrebbe volare e invece vola, forse perché nessuno l’ha avvertito. A cominciare dalla religione: escluso il Libano, in quanti altri posti del Medio Oriente si può trovare una grande statua della Madonna che ti dà il benvenuto quanto entri in città?

Ad Ainkawa, storico borgo a presenza cristiana ormai diventato cittadina annessa al capoluogo Erbil, questo succede. Ed è ritenuto normale, il giardinetto che ospita la statua è ben tenuto e non c’è nemmeno una cartaccia a imbrattarlo. Inutile aggiungere che Ainkawa è piena di chiese, compresa quella di Saint Josif, sede di monsignor Bashar Warda, arcivescovo cattolico caldeo di Erbil.

A Erbil, peraltro, è raro ciò che invece è comune in tutto il resto del Medio Oriente: cioè, udire cinque volte al giorno il muezzin che richiama alla preghiera i musulmani. Il venerdì è molto rispettato, le città si fermano, ma parrebbe il minimo per un Paese che in tre province (la quarta, quella di Halabja, la città che fu bombardata coi gas da Saddam Hussein il 16 marzo del 1988, è stata da poco decretata ma non ancora istituita) conta più di 5.300 moschee, in grandissima maggioranza fatte costruire da privati a proprie spese. Inoltre, il Kurdistan è un Paese popolato per lo più da musulmani ma in cui non fa alcuno scandalo che le donne combattano e lo facciano negli stessi modi e nelle stesse postazioni in cui combattono gli uomini.

A causa dell’Isis, inoltre, la bilancia religiosa del Kurdistan ha lievemente mosso i suoi bracci. Una parte consistente dei profuhi arrivati in Kurdistan è fatta da cristiani fuggiti da villaggi e città della Piana di Ninive, che era stata anche l’approdo di molti cristiani a suo tempo scappati da Baghdad e dall’Iraq centrale a causa delle violenze e delle bombe. Le ultime vicende, com’è ovvio, stanno provocando un altro esodo verso l’estero, animato soprattutto dalle famiglie che già hanno parenti in altri Paesi.

Sono soprattutto famiglie di altre parti dell’Iraq, perché quelle originarie della zona di Mosul e della Piana perdono più difficilmente la speranza di tornare a casa. Così il Kurdistan, quando la crisi sarà finita, difficilmente vedrà ridotto il numero dei “suoi” cristiani. Magari lo incrementerà un poco, se non tutti i profughi decideranno di affrontare la difficile impresa della rinascita materiale e della ricostruzione della voglia di vivere in zone da cui sono stati cacciati con la violenza.

Per finire: impazza sulle televisione curde un programma trasmesso da Baghdad, che si intitola “Ore 21”. Il giornalista è un maschio ma è una specie di Gabanelli iracheno, sempre in cerca di corruzioni ed inefficienze da denunciare. L’ultima campagna l’ha lanciata contro il sindaco e l’amministrazione della capitale, e funziona così: intervista iracheni qualunque per le strade e a tutti riesce a far dire che per Baghdad ci vorrebbe un sindaco cristiano, perché i cristiani sono onesti e non rubano. Lui, naturalmente, è musulmano.


30 gennaio 2015

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