Caro don Antonio, sono un suo fedele lettore.
Complimenti, intanto, per il vostro
lavoro giornalistico: autorevole e formativo.
Le scrivo con un certo imbarazzo. Ho quarantatré
anni, sposato da undici, con due bambini
di otto e cinque anni. Da mesi, vivo l’agonia
del mio matrimonio. E sto maturando la
decisione di separarmi da mia moglie. In realtà,
quando decisi di sposarla, avevo presente
qualche sua diversità caratteriale, ma pensavo
che, con il tempo, avremmo trovato il giusto
equilibrio. Invece, mi sono sbagliato. Eppure,
lei era innamoratissima. E anche cattolica e
praticante molto più di me.
In questi anni, l’ho aiutata a diventare insegnante.
Da sola non ci sarebbe mai riuscita,
per la sua perenne incostanza. L’ho assecondata
in tutti i suoi desideri bizzarri e irrefrenabili.
Compra scarpe e borse in continuazione.
Non riesce a gestire le sue “pulsioni”. Non ha
mai tempo per la riflessione o la lettura. È così
possessiva dei figli che non li ha mai lasciati
un solo giorno con mia mamma. L’ha privata
del diritto d’essere nonna. Le visite sono sempre
state brevi e centellinate al massimo.
Insomma, ho tenuto botta per quello che
ho potuto. Certo, ci sono state anche liti e sfuriate.
Ma le abbiamo superate. Però, mentre
io mi arrovellavo nel dispiacere, a lei tutto scivolava
via come acqua del fiume. Siamo andati
assieme da uno specialista per migliorare
la nostra vita di coppia. Ma, al dunque, invece
di aprirsi, si è trincerata nel silenzio. O ha
raccontato una serie di bugie.
In questi ultimi mesi, la situazione è molto
peggiorata. Sono subentrati gravi problemi
economici. La mia azienda è fallita, l’abitazione
è stata messa all’asta. Mi barcameno tra avvocati,
cause, “avvoltoi” e instabilità economica.
Ciononostante, ho tenuto fuori dalle mie
preoccupazioni la famiglia. Ho solo chiesto a
mia moglie una condotta di vita più parca.
Mentre io continuo a pagare rate di prestito
mensili, bollette e la mensa dei bambini, lo stipendio
di mia moglie scompare nei rivoli delle
sue “spese inutili”.
Ho provato a giustificarla. In effetti, ha avuto
un’infanzia difficile, con un “padre padrone”
che ha represso le sue aspettative adolescenziali.
Ma, a quarant’anni, bisogna aver fatto
i conti con il passato. Non si può fare la vittima
a vita. Tanto più se si hanno dei figli da crescere.
Ora, nel momento in cui avrei bisogno
di una donna che mi dia aiuto e sostegno, mi
ritrovo solo. Da solo con i miei problemi e la
mia stanchezza.
Ho parlato della mia vicenda ad amici fidati.
Alcuni mi hanno invitato a resistere. Altri
a mollare. Sono sfiduciato. Non posso vivere
con questo peso sullo stomaco. Nei momenti
di maggior sconforto ho pensato di farla finita.
Mi ha frenato il pensiero dei miei bambini,
che sarebbero rimasti senza il loro papà. È
giusto soffrire così tanto? Non sarebbe meglio
separarsi?
Se dovesse pubblicare questa lettera, la prego
di omettere tutto ciò che potrebbe renderla
riconoscibile. La reazione di mia moglie sarebbe
violenta. Per lei l’immagine è più importante
della sostanza.
Lettera firmata
Un conto è tenere fuori la famiglia dalle
preoccupazioni d’una grave crisi economica
per il fallimento dell’azienda, altra
cosa è tenerla del tutto all’oscuro. Come sembra
sia avvenuto, secondo il racconto di questa
lettera. E, soprattutto, considerati i comportamenti
della moglie, che continua a sperperare i
soldi in “spese inutili”. Nonostante il marito sia
alla “canna del gas” e abbia pensato di farla finita
per sempre, se non lo avesse frenato il pensiero
dei figli, che resterebbero senza il papà.
Più che invitare la moglie a una vita più sobria,
sarebbe stato meglio farle un discorso di
verità. Mettendola di fronte alla grave situazione
familiare. E alle sue responsabilità.
A quarant’anni,
e con due figli, non ci si può permettere
di giocare con la vita. E prolungare,
a tempo indeterminato, l’immaturità e il periodo
dell’infanzia. Non ci sono ragioni per
farlo. Un’infanzia difficile, con un “padre padrone”,
semmai, avrebbe dovuto portare a una
diversa maturità. Non è più il tempo delle bambole.
Ma quello dei piedi per terra. Occorre uscire
da questo dorato isolamento, in cui si culla e
trastulla. Senza pensieri e riflessioni: ma solo
per assecondare le proprie pulsioni d’acquisto e
i tanti capricci. È un castello di carta che, quanto
prima, può crollare, travolgendo tutti e tutto.
In modo impietoso e senza ritorno.
A questo punto, non si tratta – come consigliano
gli amici – di “resistere” o “mollare”, o di pensare
alla separazione. Ma di prendere il coraggio
a due mani e affrontare la realtà. A partire
da uno schietto confronto familiare. Come non è
mai stato fatto in passato. Non basta una semplice
litigata, che lascia le cose come stanno.
Bisognava prendere posizioni ferme da
subito. Come quando le manie possessive nei
confronti dei figli privavano i suoceri del diritto
d’essere nonni. O di avere a casa, per pranzo o
momenti di piacere, il figlio e i nipotini. Certo, i
gravi disagi economici non facilitano il compito.
Ma è questo il momento di capire se si è sposati
una donna, o se si vive accanto a una quarantenne
viziata e immatura.
C’è una cosa, però, che mi fa dubitare della
capacità del lettore di saper reagire come si dovrebbe
in questa situazione, al limite dell’irreparabile.
È quanto scrive alla fine della lettera.
Cioè la paura di scatenare la reazione violenta
della moglie, se la loro vicenda familiare dovesse
venire a galla. Per non rovinare l’immagine
agli occhi della gente. Ma se questa è la preoccupazione,
è urgente una forte scossa.