Un intervento della polizia israeliana (Reuters).
Per lungo tempo si è raccontata con timore la possibilità di una terza intifada. Alla fine l'intifada è arrivata ma a pezzi, per riprendere un'efficace e insieme drammatica immagine di papa Francesco. Preparata, quasi coccolata dalle parti. Attesa, prevista, pronosticata, senza che alcuno davvero lavorasse per evitarla. Lievitata tra le opposte e speculari provocazioni, di cui tutti ora, di nuovo specularmente, si lamentano.
Muoiono i ragazzi palestinesi sotto i colpi dell'esercito e della polizia, gli stessi ragazzi palestinesi che accoltellano israeliani innocenti per la strada. Siamo ormai a livelli di brutalità primitiva, che rivelano il cumulo di rancori accumulatosi nel tempo.
Proprio questo, però, è uno dei problemi dell'eterna guerra tra israeliani e palestinesi: rifare ogni volta la storia del mondo, che è un ottimo sistema per sfuggire alle questioni, politiche e concrete, del presente. E nel presente quetsa intifada a pezzi ha le radici nell'estrema debolezza (politica, appunto) dei due personaggi principali: Benjamin Netanyahu e Abu Mazen.
Del leader palestinese ho scritto più di una volta: è chiaramente a fine corsa, per non essere riuscito a convincere nessuno, né con le buone né con le cattive. Non la controparte israeliana, ma soprattutto non i suoi: se si votasse oggi (e infatti in Cisgiordania non si vota più) Hamas otterrebbe una maggioranza più ampia di quella ottenuta nel 2006, risultato che fu il preludio alla gerra intestina e alla definitiva spaccatura tra Cisgiordania e Gaza. Abu Mazen, 80 anni, ha lasciato la carica di presidente del Comitato esecutivo dell'Olp ma non quella di presidente dell'Autorità palestinese: autorità crivellata dalla perenne crisi economica, dalla corruzione e dall'impotenza nei confronti della potenza di Israele.
Ma Netanyahu, sul fronte opposto, non è messo meglio. Ha una maggioranza parlamentare così risicata (61 seggi contro 59) da essere in sostanza privo di qualsiasi reale autonomia politica. Se scontenta qualcuno, cade. E i "qualcuno" del caso sono i leader della destra oltranzista, ultranazionalista e ultrareligiosa, che ha dovuto imbarcare per la rimonta elettorale che lo ha riportato al Governo nel marzo di quest'anno. Gli stessi "qualcuno" che in questi mesi sono andati a manifestare a favore delle colonie illegali, di fatto delegittimando le decisioni della stessa Corte suprema; che hanno minacciato i palestinesi quasi ogni giorno; che hanno attizzato in ogni modo le tensioni presso la Spianata delle Moschee, offrendo così agli estremisti dell'altra sponda il modo di agitare lo spauracchio della modifica dello status quo davanti agli occhi dei giovani più facili da sobillare.
Quando parlano all'estero, Abu Mazen e Netnyahu fanno i duri, sono aggressivi, minacciano sfracelli. Ma sono ostaggi delle pulsioni peggiori dei reciproci schieramenti. E impotenti ad affrontare la crisi che intanto attizzano, perché entrambi galleggiano sull'eterna emergenza tra israeliani e palestinesi.