(Reuters).
Nel 2010 il presidente Ahmadinejad disse: "L'Iran ha un potenziale per una popolazione di 150 milioni di persone". Considerato che la popolazione effettiva del Paese è di 77 milioni di persone, sembrò a tutti che Ahmadinejad avese fatto una delle sue sparate. E invece...
Poco tempo fa è stato lo stesso ayatollah Alì Khamenei, la Guida Suprema, a tornare sul tema con accenti certo più "seri" ma soprattutto più preoccupati. "Uno degli errori che abbiamo fatto negli anni Novanta", ha detto l'ayatollah, "è stato il controllo delle nascite. Il Governo si sbagliava su questo tema e io anche. Che Allah ci perdoni".
Oggi l'Iran ha un tasso di fertilità dell'1,7, ben inferiore al tasso di 2,1 figli per donna che consente la "sostituzione dei genitori e il mantenimento della popolazione. Il che, oltre a produrre l'invecchiamento del Paese, riduce la forza lavoro, aumenta le spese dello Stato per welfare e assistenza sanitaria e, per dirla in breve, genera tutti quei problemi che affliggono molti Paesi in Asia e in europa (in Italia, per esempio), mettendo duramente alla prova un'economia come quella iraniana, già stressata per tante altre ragioni.
A questo si è arrivati, appunto, per la politica dei "due figli al massimo" applicata negli anni Novanta, quando Alireza Marandi, allora ministro della Salute, ricevette per i suoi sforzi pure un premio dalle Nazioni Unite. Ora la marcia indietro, resa ancor più indispensabile da fenomeni "occidentali" che nemmeno la Guida Suprema poteva prevedere: il calo dei matrimoni (e l'età sempre più tardiva in cui quelli celebrati vengono celebrati), l'aumento delle separazioni e dei divorzi e, non ultimo, l'accesso agli studi superiori da parte delle ragazze. Politica illuminata applicata, anch'essa, negli anni Novanta (l'Iran ha il record in Medio Oriente sotto questo aspetto), ma che in ultimo genera anch'esso un calo delle nascite.