Soldati italiani in Iraq nel 2003 (Ansa).
Il sottoscritto, nel 2003, ha avuto l'occasione di trascorrere diverse giornate nella base italiana di Nassiriya. E la fortuna di lasciarla proprio poco prima che un attentato degli islamisti si portasse via le vite di 19 italiani, tra militari e civili.
Per questo, e per altre ragioni ancora, non posso prendere come una notizia "normale" la decisione del Governo di inviare in Iraq 280 tra istruttori e consiglieri militari per aiutare i curdi nella resistenza contro l'Isis. Certo, non si trattarà di andare immediatamente a combattere. Ma dopo molti anni rimettiamo piede in Medio Oriente per una missione bellica, all'interno di una coalizione che si è impegnata a fare la guerra.
Non possiamo lasciare che i traumi del passato condizionino troppo il futuro. Tanto più che l'Italia, come ogni altro Paese, è condizionato (ma anche rafforzato) da una serie di alleanze che impongono precisi doveri. Non è un mistero che i Paesi-guida della coalizione anti-Isis avessero cominciato a borbottare e a richiederci un impegno più fattivo e concreto. Mandare verso il fronte armi e munizioni è una cosa, mandarci degli uomini ben altra.
La decisione, inoltre, riaprirà di lunga data, già cominciato in politica e destinato ad allargarsi all'opinione pubblica, tra chi si sente legato al famoso articolo 11 della Costituzione ("L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli
altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali...) e chi richiama il dovere di opporsi al dilagare dell'estremismo islamico e delle sue milizie.
E' un dibattito non solo nostro. Anche i Paesi più armati e potenti stanno facendo di tutto per non veder tornare i propri ragazzi nelle bare avvolte dalla bandiera. Anche Usa, Gran Bretagna e Francia per ora si limitano alle incursioni dal cielo, che magari sono meno efficaci ma garantiscono perdite nulle.
Una sola cosa per ora è sicura: se la lotta contro l'Isis è anche la nostra lotta, come molti ogni giorno ripetono, per il momento la stiamo facendo combattere a iracheni, curdi e siriani.