Mentre i ministri delle Finanze europee sentenziano come le Parche che il tempo è scaduto, il premier Tsipras e il ministro Varoufakis, come due arconti della tragedia greca, salgono sull’Agorà e invocano il parer del “demos”, attraverso l’istituzione di un referendum consultivo, domenica 5 lulio, che dovrà decidere sul pacchetto di sacrifici imposti ai cittadini dell’Ellade. E’ l’ultima carta che gli rimane, stretti dalla pressione della Troika creditrice che chiede sacrifici quasi impossibili, e il parere negativo dell’elettorato greco che li ha portati al potere con il 36 per cento dei consensi proprio per lottare contro quel drago esigente e affamatore che ha sede a Bruxelles, Berlino e Washington.
Dopo settimane di ottimismo la situazione è improvvisamente precipitata, ma questo non significa che potrebbe concludersi con un “happy ending”. Ora però siamo di fronte al primo degli ultimatum. Il programma degli aiuti internazionali, ha dichiarato il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, finirà martedì sera. Quanto a Yanis Varoufakis, il ministro greco dell’Economia che non piace ai tecnocrati dell’Unione per il suo comportamento e il suo stile fuori dalle righe (oltre che per la sua supponenza), dice che la decisione dell’Eurogruppo “danneggia la credibilità dell’Europa”. Varoufakis non cede e continua ostinatamente la sua linea intransigente nei confronti di chi gli chiede di tagliare le pensioni e di mettere ulteriori tasse sugli immobili. La sua tesi, anzi la sua minaccia, è che in caso di Grexit, ovvero di fuoriuscita del Paese dall’Eurozona, si creerebbe un effetto domino che coinvolgerebbe altri Paesi, a cominciare dalla Spagna e dall’Italia, danneggiando, alla lunga anche i Paesi del Nord Europa, i più intransigenti nei confronti di Atene.