Da Gerusalemme - La Città Santa non è mai stata una città facile, piena com'è di confini invisibili all'occhio ma ferrei. Adesso Gerusalemme è palesemente una città sull'orlo di una crisi di nervi. Gli attentati degli ultimi gioni, soprattutto gli accoltellamenti condotti dai "lupi solitari", imprevedibili e quasi impossibili da prevenire, seminano un'angoscia nuova che le 16 compagnie di guardie di frontiera mobilitate dal premier Netanyahu e i poliziotti (in divisa o in borghese) ovunque non bastano a disperdere, mentre il suono frequentissimo delle sirene e il volo degli elicotteri accresce facilmente.
D'altra parte, quando due ragazzini arabi tirano dodici coltellate a un tredicenne israeliano e lo lasciano in fin di vita, il fondo è già toccato. Quando un israeliano accoltella un altro israeliano credendolo un arabo, com'è successo nei pressi di Haifa, l'isteria è già arrivata.
L'ondata di violenze ha reso visiblli quei confini che prima erano impliciti, sottintesi. Nella Città Vecchia, a dominanza araba, si va solo per estrema necessità. Nei quartieri ebraici gli arabi cercano di non farsi vedere, o almeno non notare. Nei quartieri misti o di transito i passanti sono radi: si comincia a scrutarsi da lontano e ci si tiene alla larga al momento di incrociarsi. Una macchina fotografica al collo sembra una piccola assicurazione, una specie di cartello che dice: "turista innocuo". Il risultato è che tutti hanno paura: gli israeliani di essere aggrediti; gli arabi di essere comunque scambiati per potenziali accoltellatori e di finire nelle mani della polizia. I negozianti, arabi o israeliani non importa, denunciano un drastico calo degli affari.
Anche se è il più forte e promette di usare il pugno di ferro, Israele vive questa terza intifada col cuore stretto. Jaffa Street e Ben Yehuda, le strade del centro piene di locali e negozi, una delle mete preferite dei giovani, sono quasi deserte. Guardato a vista da una decina di poliziotti (compresi i "falchi" che viaggiano su potentissime motociclette), c'è un capannello di musicisti, un girotondo di ragazzi che ballano e cantano canzoni che inneggiano a Israele, portando cartelli che invitano tutti a stare uniti per il bene del Paese. Sventola qualche bandiera, i passanti si radunano e battono le mani a tempo. Poco più in là, un banchetto raccoglie offerte per "dire grazie" ai soldati che difendono Israele.
Ma appena si fa sera, le strade si svuotano e le automobili passano più veloci.