Ogni libro di Claudio Magris è una sfida all'intelligenza del lettore. Non solo i suoi coltissimi saggi, ma anche i suoi romanzi. La precedente opera narrativa, Alla cieca, risale al 2004. Undici anni dopo, il professore triestino è tornato in libreria con Non luogo a procedere (Garzanti): una profonda meditazione sulla storia, sulla violenza, sul dovere della memoria...
Il romanzo ruota attorno a un nucleo narrativo di per sé semplice: Luisa, una giovane donna, è stata incaricata di allestire un Museo della guerra, portando a compimento il sogno inseguito per una vita da un uomo, di cui mai verrà svelato il nome, ma la cui figura - lo apprendiamo da una nota dell'autore - si ispira all'intellettuale triestino Diego de Henriquez. L'obiettivo del museo, a lungo agognato e ora finalmente in via di realizzazione, è quello di testimoniare la necessità della pace attraverso l'esposizione delle armi e di materiali bellici.
Si tratterà di un'opera postuma, perché l'ideatore del museo è nel frattempo morto in un misterioso incendio che ha mandato in fumo, insieme alla sua vita, anche il capannone in cui si era ritirato e, soprattutto, alcuni taccuini, nei quali aveva annotato i nomi scritti sulle pareti dai prigionieri della Risiera di San Sabba, l'unico forno crematorio attivo in Italia. Documenti scottanti, è proprio il caso di dire, tanto più che non è affatto improbabile che fra quei nomi comparissero personaggi un tempo collusi con i nazisti, ma ora riabilitati nella bella società triestina...
Attorno a questo fulcro tematico, si irradiano una serie di storie, perlopiù tese a dare voce a quell'umanità che, nel corso della storia, è stata vittima dell'odio, della discriminazione, della sopraggazione. Quella della stessa Luisa, ad esempio, figlia di una ebrea e di un afroamericano, quindi discendente da due popoli per secoli - e ancora oggi - tormentati, ridotti in schiavitù, trattati peggio degli animali; e nipote di una donna che, forse, non seppe resistere alla paura e rivelò i nomi di chi l'aveva protetta.
Con questa affascinante e complessa opera, affidata a un flusso di scrittura visionaria e musicale, Magris affronta di petto la questione del male, qui simboleggiata dalla guerra, e dalla violenza, da ogni forma di sopraffazione. Il fatto è - riflette in dense pagine l'autore - che il male non è un accidente della storia, una devianza da correggere. No, il male è connaturata alla storia, come a ogni singolo uomo, appartiene alla sue essenza più profonda. Il male fa parte di noi, bisogna esserne consapevoli se si vuole davvero trovare una via per contenerlo e non renderlo invasivo.
Spesso, inoltre, dinanzi al suo dispiegarsi non resta nemmeno una forma di giustizia a posteriori, di verità storica che venga in qualche modo ristabilita dalle generazioni successive delle vittime. Al male, il più delle volte, fa seguito un "non luogo a procedere", per cui la verità, la giustizia, la responsabilità restano irrisolte, incompiute: di rado si celebra un processo che rimetta le cose al giusto posto, che separi chi ha saputo essere coraggioso e giusto da chi si è schierato dalla parte dei prepotenti.
Se così è, non ci resta che rassegnarci al trionfo del male, delle guerre? Alla vittoria dei cattivi? Cosa che accade ogniqualvolta gli individui e le comunità vengono meno al dovere della memoria, alla necessità di capire che cosa è accaduto, di stabilire le responsabilità. L'ideatore del museo trascrisse nei suoi taccuini i nomi di chi collaborò con i nazisti proprio per questo. E chi coprì quei nomi con una mano di bianco, proprio tale presa di coscienza voleva impedire.
Ricordare, cercare la verità, coltivare la memoria consente di dare voce e dignità a tutte le vittime della storia e a inchiodare chi ha fatto il male alla sua colpa. Solo quando ciò avviene, il male viene sconfitto. Non è, questa, un'impresa di poco conto. Certo l'amore, quello che insegue senza mai conquistarlo Luisa, è un'altra cosa: quella sì capace di dare un senso pieno a una vita...