Tombola! Alla fine la mail che conferma «l’avvenuta attivazione dello Spid» è arrivata. Ma per un paio di settimane il mio Spid – il codice ormai obbligatorio e indispensabile per dialogare con la Pubblica amministrazione - è stato come l’araba fenice del Così fan tutte: che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. Sono diligente e tengo un blog che si chiama Le regole del gioco, si deve fare, lo faccio. Dopo un tentativo fallito lo scorso anno quando ancora la vicenda era molto embrionale e non urgente per colpa di un misterioso baco poi evidentemente risolto, il 28 luglio 2021 decido di investire qualche minuto (speravo io) delle mie ferie per ottemperare all’obbligo di dotarsi del famigerato spid.
Preso atto che il mio cellulare, non di primissimo pelo, non ha la tecnologia che serve per farsi identificare tramite passaporto (che ho) o carta d’identità elettronica (che non ho); che mi manca lo strumentino che serve a far leggere al Pc il chip della tessera sanitaria; che non ho firma digitale a disposizione, scelgo di affidarmi al sito delle Poste, sentendomi in grado (fare gli sboroni si paga!) di fare da sola la registrazione per accelerare i tempi e risparmiare fila in tempo di Covid all’ufficio postale.
Mi preparo smartphone, tessera sanitaria e carta d’identità e mi accingo a registrarmi dal tablet (primo errore, meglio il pc, più versatile). Scrivo le cose che mi chiedono, nome, cognome e compagnia cantante ma il cervellone mi contesta l’indirizzo del domicilio. Per qualche imperscrutabile ragione non gli piace la mia piazza intitolata a un musicista, va’ a sapere perché. Incerta sul da farsi mi incaponisco (non mi piace darla vinta alla macchina): alla fine, a tentativi, capisco che non si accontentava del cognome del mio compositore, voleva anche il nome.
Superato il primo ostacolo: devo caricare la foto dei documenti fronte e retro dei documenti (credendomi più acuta della perfida macchina, l’avevo messa in memoria). Niente da fare: il formato va bene, ma la macchina non apprezza il nome automatico che il mio tablet dà alle foto in archivio: ci sono i trattini e lei non li vuole. Vedo una macchinina fotografica e capisco che il sistema dà un’altra opzione: posso scattare la foto direttamente con il tablet da cui mi sto registrando. Lo faccio e il fronte dei documenti va a buon fine. Il retro però no: il nome automatico del file è lo stesso del fronte e al sistema non piace, ne vuole un altro, il programma del tablet però non è così versatile da consentirmi facilmente di rinominare la foto. E adesso? (Come Wile Coyote con i candelotti mi intestardisco, non voglio darla vinta al mio beep beep). Mi invio la foto sul Pc, le cambio nome e me la rimando (e intanto penso a come se la caverebbe un pensionato non tecnologico, per la cronaca lo Spid è l’unica strada per dialogare con l’Inps). Eureka funziona. Arriva la mail di conferma di registrazione avvenuta (un paio d’ore delle mie ferie se ne sono andate per senso del dovere e perché lo Spid mi serve). Ma non è finita.
Ora che ho il codice della mia pratica devo farmi identificare in un ufficio postale, ma non posso andarci così, devo prenotare, tramite l’indirizzo web indicato (un sito dall’interfaccia non proprio immediata) o attraverso l’App poste oppure chattando via whatsapp con un operatore virtuale. Scelgo l’ultima: memorizzo il numero indicato e comincio a dialogare a messaggini con la macchina. Mi risponde e all’inizio è un’esperienza simile a quella che si ha quando si trova la vocetta preregistrata al telefono: se ti serve questo digita x se ti serve quello digita Y. (Sembra facile).
Una volta stabilito qual è l’ufficio postale vicino a me dove mi posso prenotare, le cose si complicano. «Scegli se: 1- Prenotare un turno nelle ore successive 2- Cercare un altro Up Digita il numero corrispondente alla scelta di tuo interesse». Scelgo 1 e sbaglio subito. L’intelligenza artificiale è meno intelligente di quanto pensassi, per prossime ore intende solo i minuti che mancano alla chiusura dell’ufficio, il giorno dopo evidentemente non è “prossime ore”. Mi risponde che non ci sono posti disponibili, che non mi può aiutare, che devo andare sul sito. Ci vado e ritrovo il mio operatore digitale, intelligente come prima. Provo a spiegargli che devo riprenotare. Mi continua a dire qualcosa del tipo: «Non capisco, scrivimelo con parole più semplici». Sentendomi ridicola, reprimo la tentazione di insultarlo (sarebbe disonorevole e non dà neanche soddisfazione).
Mi rimetto in modalità Wile Coyote e cerco di aggirare l’ostacolo: la soluzione è eliminare la prima chat con l’operatore digitale e ricominciare come fosse la prima. L’intelligentone ci casca! Stavolta scelgo 2. Mi spedisce sul sito in cerca del famoso Up (e qui ripenso con tenerezza al pensionato...), non capisco dove andare. Qualche decennio di navigazione quotidiana di esperienza non mi basta. Non riprendo a litigare con la macchina. Ricancello la chat e decido di riaprirla da zero per scegliere 1 una mattina alle nove, quando avrò davanti una giornata intera di ufficio postale aperto. Un “up” lo troverò.
Se n’è andato un pomeriggio della mia vacanza e sono solo a mezzo guado. Due giorni dopo alle 9 ricomincio a chattare: alle 9.11 il genietto artificiale mi dice che il primo orario disponibile è alle 10 di quel giorno, memore dei trascorsi decido di accettare e cominciare a correre. All’ufficio postale, con un’utenza troppo numerosa e mal mascherata per essere in tempo di Covid, è tutto molto veloce e cortese, quando scatta il codice corrispondente alla mia prenotazione bastano due minuti: carta d’identità, codice fiscale in un attimo è fatto: «Tutto a posto, nelle prossime ore le arriverà una mail». Evivva.
Tutto sta nell’intendersi su prossime ore: è giovedì, lascio passare il fine settimana, la mail non arriva. Capisco che qualcosa è andatato storto. Lascio passare un altro paio di giorni, poi chiamo l’assistenza: 4 minuti di voce registrata a base di “se cerchi questo digita quello”, a un certo punto tra le opzioni mi chiedono anche se cerco informazioni sul bonus vacanze (reprimendo un improperio penso alle ore di vacanza che ho perso e alla pausa pranzo che sto perdendo dato che nel frattempo ho ripreso a lavorare). Il primo tentativo va a vuoto: non ci sono operatori disponibili per intenso traffico. Riprovo. Altri 4 minuti di voce registrata e di la preghiamo di attendere: alla fine trovo un’umana, gentilissima. Mi dice che la mia pratica è andata a buon fine e che è solo la mail che non è arrivata, che ho fatto bene a chiamare perché non sarebbe servito tornare in posta, possono sbloccare solo loro aprendo un ticket di assistenza presso un altro ufficio. Mi apre la pratica, ringrazio e aspetto la mia mail.
Passa un’altra settimana. Niente mail. Resisto fino a tre giorni fa poi riprovo: solita trafila di voce registrata, minuti di attesa con musichetta ossessiva, la prima volta cade la linea, la seconda volta mi risponde, che sollievo, un’altra umana, gentilissima (mi scuso ora con lei che non c’entrava, se la seconda volta ho avuto io meno pazienza): mi dice che il mio ticket risultava chiuso, cioè andato a buon fine. Qualcosa è andato di nuovo storto. Me ne apre un altro: 72 ore dopo, finalmente, arriva l’agognato messaggio: Poste Italiane -Poste Id abilitato a Spid. Evviva.
Sollievo, ma anche amarezza, non riesco a non pensare che le ore, non poche, che ho perso gratis, ma per me non a costo zero, in questo surreale dialogo scritto e parlato con le macchine, sono state probabilmente un tempo ore di lavoro di un essere umano che nel frattempo ha perso l’impiego, sostituito dalle suddette macchine. O, bene che vada, sono le ore vuote di un altro giovane essere umano che non è stato assunto, perché al posto dell’umano andato in pensione è stata “assunta” la geniale macchina digitale di cui sopra. Chi ha fatto questo calcolo ha di certo risparmiato quelle ore, ma le ha scaricate su di me.
Quando sento in Tv la pubblicità sedicente progresso che celebra le magnifiche sorti e progressive dello Spid ho la tentazione di fare come la mia amica che ai tempi dell’università mandava a quel paese la Tv ogni volta che sentiva il tale di uno spot gridare: “Sei indietro con gli esami?”. Non lo faccio solo perché non ho più vent’anni da tanto e mi sento ridicola a prendere a parolacce una scatola.
Ps. Se ho scritto questa cosa non è stato per sfogarmi o solo per la riflessione finale ma anche perché spero che gli escamotage che ho trovato io tornino utili ad altri, che altri risparmino tempo leggendo questo resoconto. Sono andata lunga? Vero, ma non è colpa mia se l’odissea alla caccia dello Spid lo è stata. Ad altri è andata benissimo, io sono stata sfortunata.