Il referendum sui matrimoni omosessuali in Irlanda, se da una parte mi costringe a prendere atto di quella realtà, dall’altra mi crea uno stato d’animo di impotenza. Sono angosciato e non trovo giusta quella decisione. Mi pare importante scindere – per come la vedo io – l’aspetto religioso da quello civile, anche se non è facile o, forse, possibile farlo. Dichiarare, però, che l’Irlanda cattolica ha fatto un passo avanti da pionieri, mi pare davvero eccessivo.
Se gli omosessuali possono legittimamente fare “famiglia”, e se in natura servono un maschio e una femmina per generare, mi chiedo se sia giusto “educare” i ragazzi a una “normalità” dove la famiglia può essere costituita anche da persone dello stesso sesso. Con tutto ciò che ne consegue. Siamo sicuri che sia una conquista di civiltà? Solo perché lo dice un referendum? Non è mica detto che chi ha più voti abbia sempre ragione! Confesso d’essere molto preoccupato per queste “fughe” in tutte le direzioni. T.G.
L’Irlanda è il ventiduesimo Stato che introduce, per legge, il matrimonio omosessuale. Ma è il primo a introdurlo in base a un referendum popolare. L’evento si è imposto all’opinione pubblica per l’ampia maggioranza dei sì (sessantadue per cento) e perché viene dall’Irlanda, nazione cattolica. Le reazioni sono state di sorpresa e di difficoltà a prenderne atto: «Non lo trovo giusto», scrive il lettore. Ma anche di approvazione, con scene di esaltazione, che hanno lodato il voto come una scelta di civiltà, libertà e uguaglianza. Tanto più in quanto avviene in una nazione di antica tradizione cattolica. A mio parere, invece, una riflessione va fatta su un duplice aspetto: il significato del referendum e la qualifica della nazione irlandese come cattolica.
Il referendum è sicuramente uno strumento di democrazia, rende possibile ai cittadini di partecipare alle decisioni dello Stato, per abrogare o confermare leggi esistenti. Ma anche, come in questo caso, di introdurne di nuove. Il valore della votazione dipende dal numero di consensi che si ottengono o che non si raggiungono. Ora, nelle società democratiche, il criterio di maggioranza serve per prendere decisioni. Anche se ciò non corrisponde automaticamente a un criterio di giustizia e verità. Se una scelta è eticamente cattiva (vedi, ad esempio, l’aborto), non diventa buona per il solo fatto che una maggioranza la reputi plausibile. Come avviene in tanti Stati del mondo. Così, resta aperta la domanda del nostro lettore: il referendum è sì valido e occorre prenderne atto, ma è anche giusto?
Non è difficile prevedere che la legge introdotta nella società irlandese avrà serie conseguenze. L’Irlanda, già dal 2010, aveva legalizzato le unioni civili. Più di recente, cioè nel gennaio 2015, ha legiferato sulle adozioni omosessuali. Con questo ulteriore passaggio, sottoposto al referendum dei cittadini, dove si voleva arrivare? L’eclissi del bene (valore) del matrimonio naturale, cosiddetto tradizionale, segna l’eclissi di un bene (valore) umano individuale e sociale universale. In questa direzione, la legge assume un ruolo antipedagogico.
L’altro aspetto riguarda l’Irlanda, come nazione cristiana. Con tale qualifica s’intende dire che la religione maggioritaria è quella cattolica, come si direbbe per nazioni come la Spagna, l’Italia… Si tratta, tuttavia, di un cattolicesimo profondamente mutato nel contesto delle società secolari e pluraliste dell’Europa e dell’Occidente. L’esito del referendum ha mostrato che siamo di fronte a un cattolicesimo molto distante dal pensiero della Chiesa istituzionale.
«La realtà è cambiata e non si può ignorare…», ha detto l’arcivescovo di Dublino e primate della Chiesa irlandese, commentando l’esito del referendum, «è una rivoluzione sociale». È, allora, in questo nuovo contesto sociale e culturale che la Chiesa è chiamata a testimoniare il Vangelo, tenendo ben presente l’incondizionata dignità che si deve alla persona omosessuale e denunciando ogni forma di discriminazione ed emarginazione nella società e nella comunità cristiana.
Al tempo stesso, la Chiesa è chiamata all’annuncio della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna come valore cristiano e profondamente umano. E i cattolici, in quanto cittadini, devono essere incisivi nel far sentire la propria voce perché si elaborino leggi giuste. Per evitare – come sta avvenendo anche in Italia con alcune proposte di leggi (vedi testo Cirinnà) – l’eclissi della famiglia, che si vorrebbe rottamare e destrutturare dalle fondamenta.
E, soprattutto, per salvaguardare il diritto dei bambini (di cui nessuno parla) a crescere con una padre e una madre. Per uscire dalle sterili contrapposizioni ideologiche, occorre parlare di famiglia non in termini astratti ma concreti. Solo così sarà possibile convergere su modalità giuridiche che, da un lato, riconoscono e difendono l’unicità della famiglia e, dall’altro, promuovono anche i diritti che provengono da altre forme di convivenza, che uno Stato civile non può ignorare. L’importante è non chiamare con lo stesso nome realtà ben differenti. La famiglia è altra cosa.