Giovedì 27 ottobre è
stato presentato a Roma, e in contemporanea in tutte le regioni italiane, il
21° Rapporto sull’Immigrazione: “Oltre la crisi, insieme”. Come ogni anno, il dossier statistico di
Caritas Italiana, Migrantes e Caritas Roma viene presentato con dati accurati
che ci parlano in modo concreto e reale del variegato mondo dell’immigrazione e che ci aiutano a riflettere e valorizzare la
presenza di tante persone che noi chiamiamo ancora stranieri, ma che sono ormai
parte integrante del nostro tessuto sociale.
Vorrei soffermarmi in modo particolare sulla
presenza delle donne la cui percentuale supera ormai quella degli uomini. Su
quasi 5 milioni gli immigrati residenti nel nostro Paese - pari al 7,5% della popolazione italiana - e le donne con un regolare
permesso di soggiorno costituiscono
il 51,8 per cento della popolazione immigrata. Ma
dove sono tutte queste donne? Che cosa fanno? Che contributo offrono alla
nostra società?
È
stato più volte affermato che le donne immigrate sono un elemento
fondamentale di crescita, sviluppo e integrazione: primo fra tutti, contribuiscono
fortemente e concretamente al tasso di fecondità nazionale. Il Dossier
statistico mette in risalto il contributo delle donne straniere alle nascite e
quindi alla ripresa demografica del Paese. I figli dovrebbero essere
considerati la prima grande ricchezza su cui investire perché sono proprio loro
che offrono stabilità, crescita e sicurezza di futuro per ogni Paese che vuole
avere continuità. E le donne immigrate che portano con sé le ricchezze delle
loro culture di origine, amanti della vita e della maternità, ci offrono questo
dono.
Esse sono pure portatrici di un tesoro di saperi e di competenze che
Paesi come il nostro hanno tutto l’interesse a conoscere e assorbire.
Abbiamo quindi bisogno di scoprire maggiormente e valorizzare le preziose risorse
che ci vengono offerte, come l’enorme contributo di esperienza e di umanità che
le immigrate portano con sé dai loro Paesi di provenienza.
Queste donne le troviamo
principalmente nelle nostre case, nella cura dei nostri bambini oppure nell’assistenza
ai nostri genitori anziani e ammalati. Proprio a loro affidiamo le persone più
preziose e care: la vita che nasce e cresce e quella che volge al tramonto. A
loro va quindi la nostra riconoscenza e il nostro affetto. Ma anche la
consapevolezza di quanto possa essere duro e difficile per ciascuna di loro il
distacco dal loro Paese e dal loro mondo di affetti, relazioni, lingua e cultura
per avere in cambio un lavoro remunerativo che permetta a se stesse e alle
famiglie lasciate nei luoghi di origine di avere una vita più dignitosa. Molte
di loro, infatti, sono fuggite dalla povertà o da situazioni di conflitti nella
speranza di trovare un po’ di benessere e di dare un futuro ai propri, spesso bambini
lasciati in custodia agli anziani genitori per prendersi cura dei nostri
bambini.
Ma ci sono anche migliaia di
donne immigrate che non sono state considerate numericamente in questo Dossier,
perché prive di documenti. Molte di loro sono ancora in balìa di trafficanti
che sfruttano la loro situazione di illegalità per costringerle a vendere il
loro corpo sulle nostre strade. Altre le troviamo rinchiuse per lunghi mesi nei
Centri di identificazione ed espulsione (CIE) dove vivono la sofferenza di un futuro incerto
e di un rimpatrio forzato. Altre ancora, purtroppo, continuano a morire sulle
nostre strade: come Joy, che lo scorso mese di ottobre è stata trovata in un
torrente alle porte di Novara, ammazzata a soli 21 anni.
Ora mi sto occupando del caso di Jessica,
morta nei giorni scorsi per un’emorragia celebrale a poco più di trent’anni.
Chi l’aveva conosciuta ha commentato: «La strada e gli aguzzini hanno rubato la
vita a questa creatura». Anche loro come tutte le donne avevano dei sogni da
realizzare. Nel giorno dedicato ai nostri defunti,
abbiamo dunque un ricordo speciale, una preghiera e una richiesta di perdono per
tutte le vittime uccise anche dalla nostra indifferenza.