La pandemia, con la sua dolorosa eredità, dovrebbe indurci a ripensare l’idea di cura. Intendiamoci, il coronavirus non ha fatto altro che acuire e rendere evidenti i limiti oggettivi della nostra impostazione. Il malato ormai è solo un numero e la sua condizione clinica è anch’essa ridotta solo a numeri. Eppure l’Organizzazione mondiale della sanità, già nel 1948 precisava che per “salute” si intende uno «stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o infermità».
Aggiungiamo che all’interno di queste categorie conta moltissimo la dimensione spirituale, che è connaturata con l’essere umano. In questo senso, un prezioso aiuto ci giunge da un testo appena pubblicato che mette insieme l’esperienza di un cappellano e di un medico che operano all’interno dell’Istituto nazionale dei tumori a Milano.
La spiritualità nella cura. Dialoghi tra clinica, psicologia e pastorale di Carlo Alfredo Clerici e Tullio Proserpio (Edizioni San Paolo, 206 pagine, 18 euro), un’opera impreziosita dalla prefazione di papa Francesco che ci offre una serie di spunti interessanti e apre una prospettiva di speranza. I due autori fanno notare che «i grandi ospedali, nel passato, nascevano ed erano organizzati con una funzione di accoglienza e di edificazione morale e spirituale: dunque gli aspetti relazionali di supporto e quelli spirituali, in qualche modo, facevano parte delle cure che si ricevevano quando si veniva ricoverati».
Il primato assoluto della scienza ci ha invece indotto a sterilizzare quei fattori che non possono essere misurati. L’invisibile, che pure ci pervade, non conta più nulla in questa prospettiva. «Si finisce per ascoltare i racconti del malato tutt’al più per buona educazione, ma la pratica della relazione non è più determinante nella metodologia di cura», sottolineano i due autori. Figuriamoci poi se le moderne strutture sanitarie si occupano dei bisogni più interiori dei malati. Eppure, l’ascolto e il tenere conto della spiritualità del paziente migliorano non solo l’umore e la qualità della vita ma fanno parte della cura, come ormai evidenziano varie ricerche.