Amadeus con Paolo Palumbo: la sua, una testimonianza "controvento" di guerriero contro la Sla, sul palco di Sanremo (foto Ansa)
Predicare a Sanremo si può, di fatto accade. Immaginare questo Festival 2020 come una “grande omelia” non è un’operazione interpretativa irriverente. Per il semplice fatto che il tema principale è l’amore, come «luogo in cui il mistero si dissolve», secondo Benigni; “luogo in cui il mistero si disvela”, diciamo noi. Il mistero, infatti – se è tale e compreso come tale - non può dissolversi, ma solo mostrarsi nella sua “gloria”.
L’amore è epifania del mistero. Il mistero non è un rebus, ma è una eccedenza di senso e di amore, che si dona al pensiero e alla vita delle persone per vie “misteriose”, prima tra tutte l’amore. E se per i credenti il mistero è Dio, allora l’amore indagato nella sua verità, bellezza, tenerezza, cura, attenzione, reciprocità, mostra l’irrisolvibile mistero dei Dio-amore.
Il palco dell’Ariston non è il pulpito di una parrocchia cattolica. Purtroppo “quel palco” ha una qualità quasi totalmente perduta dal pulpito cattolico: ha un pubblico di milioni di persone in ascolto, per ogni parola o battuta. È spettacolo! E chi ha stabilito che lo spettacolo non debba/possa diventare la possibilità di una comunicazione profonda di cose serie, per parlare con “parole urgenti” che scavano nell’anima, appello alla libertà per un cambiamento e una revisione di vita, capace di indurre a decidere per il bene, per la prossimità per l’altruismo.
La testimonianza di Paolo con la sua canzone Io sto con Paolo è un esempio per tutti. Qui c’è una richiesta (per sé e per altri seimila guerrieri, malati di SLA che non si arrendono) di aiuto che sia umanamente pietas - tutt’altro che pietismo - amore vero. Agire così, è intellettualmente onesto ribadirlo - è necessario andare “controvento”, contro l’individualismo egotico e il narcisismo egocentrico cui spinge l’odierna società dell’ipermercato.
L’Arisa che piacque a tutti in quel Sanremo vinto con Controvento: «risolverò, magari poco o niente, ma ci sarò e questo è l’importante, acqua sarò che spegnerà un momento, accanto a te, viaggiando controvento». La saggezza della tenerezza, del farsi vicino, prossimo, rende la vita come una primavera, per tutti, specialmente per chi soffre, schiantato su un letto o una sedia a rotelle con un corpo lontano dall’anima, mentre la mente è ancora vigile e il cuore batte.
Nella "sua" cover del Cantico dei cantici, Roberto Benigni, cercando di spiegare l’imbarazzo della presenza di una “canzone profana, piena di erotismo” nelle Scrittura, ha detto: «è come se una bella canzone di Sanremo entrasse a far parte del Vangelo» (foto Ansa)
Come imparare dalla "omelia di Sanremo" a combattere la "predica-ghiacciolo"
La gente è assetata di comprensione e di prossimità, ma il pubblico “nazional popolare” del palco di Sanremo è formato da tante persone che hanno deciso di non abitare più lo spazio sacro delle religioni o del luogo santo della fede cristiana. Il pulpito della chiesa cattolica oggi parla davvero a pochi. Anche dove numerosi sono i partecipanti all’assemblea liturgica domenicale, le statistiche dei sociologi ci informano che una percentuale minima ascolta la Parola di Dio, quando vengono proclamate delle Scritture. Molti di meno non si distraggono durante l’omelia del sacerdote che ne segue. E la cosa non dovrebbe poi preoccuparci più di tanto se hanno un minimo di sensatezza alcuni giudizi sulle prediche, come quella di don Alessandro Pronzato sulla predica-ghiacciolo: «Sull’ambone si manifesta come un uomo della parola surgelata. Non un guizzo di vita, un minimo di calore, di partecipazione, di coinvolgimento, di passione. Più che maneggiare il fuoco, lui sembra gettare brancate di cenere fredda, oppure scaraventare sulla testa degli ascoltatori secchiate di acqua gelida. Smitragliate di citazioni bibliche, incursioni insistite nei documenti del Concilio, puntualizzazioni dottrinali… Anche l’anima esposta a certe arie gelide, potrebbe buscarsi una polmonite paralizzante».
Il problema esiste. Ed è un dramma serio per la predicazione cristiana e l’annuncio del Vangelo. La testimonianza della carità è decisiva per la fede cristiana - senza opere di carità la fede è morta -, ma la fede cattolica cresce e matura ex auditu ha bisogno di annuncio, predicazione e ascolto. In gioco c’è l’intelligenza della fede (perché non si trasformi in magia e superstizione), la comunicazione dell’umanità bella e buona di Gesù di Nazareth che salva la vita, riscatta da ogni schiavitù (interiore e esteriore), libera dalle catene dell’egoismo e del narcisismo, rendendo così possibile vivere l’amore, vivere d’amore.
Massimo Cacciari, filosofo di tutto rispetto e non credente, ad esempio, è già il secondo anno che, a Natale, ripropone alcune sue considerazioni sulle omelie dai pulpiti cattolici: «Le Chiese sono diventate delle grandi scuole di ateismo. Nella gran parte di esse, la forza paradossale del Verbo di Cristo viene trasformata in un discorso catechistico e ripetitivo, un piccolo feticcio consolatorio e rassicurante, un idoletto. È l'opposto di ciò che insegnava Gesù». Cacciari era ancora uno studente al secondo anno di liceo quando, tra lo Zarathustra di Nietzsche e le prime letture di Hegel, aprì le pagine del Nuovo Testamento: «Fu entusiasmante sentire la straordinarietà di quel testo, la bellezza di una storia che induce ad andare alla ricerca, senza certezze, rischiando. Al novanta per cento, i preti sono incapaci di rendere la potenza di quel racconto. Le loro omelie, spesso, sono delle lezioni di anti religione».
Ho ascoltato personalmente il cardinale Martini affermare di Cacciari: «parla di Gesù Cristo come un padre della Chiesa». Sembra al filosofo che proprio il pulpito cattolico – durante l’omelia dedicata al rilancio del mistero di Dio come potenza che svela e si disvela nell’amore umano nella sua bellezza- si perde, non trova le parole, per raccontare la verità della Parola, in una comunicazione di fede mancata.
D'altra parte leggo da qualche mese alcune opere di F. Jullien, filosofo francese ateo, che riflette sulle “risorse del cristianesimo” ancora utili per l’umanità disorientata di oggi. E perché non tentare, allora, una sorta di “viceversa”?
Nella "sua" cover del Cantico dei cantici, Roberto Benigni, cercando di spiegare l’imbarazzo della presenza di una “canzone profana, piena di erotismo” nelle Scrittura, ha detto: «è come se una bella canzone di Sanremo entrasse a far parte del Vangelo». Cosa ovviamente impossibile, perché il Vangelo è il Vangelo. Non il “viceversa”, però! Viceversa è possibilissimo, anzi sta diventando doveroso: che il Vangelo entri nelle le canzoni di Sanremo. È un auspicio, un augurio, che non dovrebbe essere impedito dal “potere mediatico del pensiero unico globalista e pansessualista”, oggi imperante, nelle società liquide dell’ipermercato. Come? Per quale via? C’è una strada incontestabile. È solo necessario attrezzarsi bene per batterla, entrando in dibattito critico, in dialettica (F. Hegel). È fondamentale “ritornare a pensare”, per evitare di accogliere con l’entusiasmo dell’ignorante tutte le fakenews e le bufale propinate sul cristianesimo, sui vangeli e su Gesù Cristo stesso. Da questo versante, è certamente profetica l’opera che Benedetto XVI ci ha lasciato in eredità, per il nuovo millennio, su Gesù di Nazareth, sul Cristo reale, da accogliere e seguire, oltre ogni ideologica interpretazione. Come, dunque? Per quale via?
L'Ariston-pulpito: Zucchero, con le "sue" prediche sull’accendere lo “spirito nel buio” e i gesti da santone: "che Dio vi benedica, che Dio vi benedica”... (foto Ansa)
Un manifesto per la "Pop-Theology"
-
La si sta chiamando Pop-Theology che in questo contesto immaginiamo così: l’accostarsi cioè, con umiltà e fermezza critica - attraverso la luce del Vangelo e la sapienza della verità cristiana che sa interpretare i drammi della vita umana - anche a “questo palco dell’Ariston”, per intercettare nelle “sue” parole, nelle “sue” prediche (quelle che milioni di persone ascoltano con attenzione nel linguaggio performante della televisione) una proposta di umanità, una eco potente dell’amore umano, con cui ritornare a parlare di Dio e soprattutto del comandamento nuovo sull’amore dato da Gesù: «amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi».
Se la fede è pensata, allora è lumen (luce, visione, secondo Lumen fidei di Papa Francesco) e questa “intercettazione di umanità” nei testi di quelle canzoni è la doverosa interpretazione teologica sub luce evangelii (secondo il Concilio Vaticano II) delle possibili verità intraviste, messe in gioco nelle rime delle parole, come messaggio per tutti. L’approccio critico è inevitabile, ed è un modo per testimoniare la propria fede in Cristo, anche solo per seguire quello che ha detto: “chi non è contro di noi, è per noi”. C’è però anche la possibilità che qualcuno “sia contro” e voglia chiamare “giustizia l’ingiustizia”, “amore il disamore” (è questo l’opera dell’Anticristo camuffato da Cristo). Perciò è necessario che i credenti seguano il suggerimento di Gesù: “docili come colombe e furbi come serpenti”.
Da questa prospettiva e dentro questa impostazione - senza disturbare l’autonomia delle realtà terresti o la laicità della manifestazione sanremese- potremmo tentare di immaginare percorsi omiletici plurali dal palco di Sanremo 2020: una Predica immaginaria dal palco dell’Ariston si farà con le parole delle canzoni cantate su quel palco, ma anche possibilmente lavorando sui monologhi.
Tra l’altro, l’impostazione “liturgica” è emersa con segnali evidenti sin dall’inizio: Fiorello vestito da prete (ma è la tonaca di don Matteo) chiede a tutti di scambiarsi un segno di pace; poi introduce il nome di Amadeus con la melodia più classica del canto dell’Alleluia; successivamente seguono le canzoni in gara con i loro i messaggi e annunci; per non dire anche di Zucchero che si gode la sua standing ovation - dopo aver abbondantemente fatto le “sue” prediche sull’accendere lo “spirito nel buio”- ripetendo come un santone: “che Dio vi benedica, che Dio vi benedica”.