Caro don Stefano, mi è capitato di vedere la badante della mia mamma farsi il segno di croce al modo degli ortodossi, imbarazzata per essersi fatta notare. Mi diceva un sacerdote che se partecipassi alla Messa in un altro rito, tecnicamente non avrei assolto al precetto domenicale (!). Come possono fare i turisti o i lavoratori stranieri che desiderano partecipare alla Messa qui in Italia (o noi stessi quando andiamo all’estero)? Per non parlare della doppia celebrazione per i matrimoni misti... Non è scandaloso? Si potrebbe dire «io sono di Francesco», «io sono di Kirill», «io sono di Lutero». Ma noi siamo solo di Cristo! Mi sto convincendo sempre di più che nostro Signore non ha patito la morte per istituire la Chiesa – intesa come apparato gerarchico, struttura muraria, ecc. –, ma per farci conoscere la volontà di Dio, che è quella di amarci reciprocamente, di amare e rispettare il Creato, di portare unione e pace fra tutti. A questo punto discutere sulla data precisa per festeggiare il Natale o la Pasqua è ridicolo. Cosa aspettiamo a istituire una celebrazione unica, interconfessionale, che prenda il denominatore comune di tutti i cristiani (letture della Messa, commenti della Bibbia, Credo, consacrazione e Padre Nostro, atto penitenziale, preghiera per la pace...) con testi concordati? Grazie per l’ascolto. MARIASTELLA - VICENZA
Cara Mariastella, la tua sofferenza per le divisioni nel Corpo di Cristo è quello di tutti noi. Gesù con la sua morte e risurrezione ha istituito la Chiesa nella sua parte visibile (cioè materiale) e invisibile (spirituale). Esse sono inseparabili per il principio stesso dell’Incarnazione, per cui Dio si è fatto uomo. La tua esperienza, come quella di chi accoglie persone da altre nazioni, spesso appartenenti ad altre confessioni cristiane, ci apre gli occhi rispetto allo scandalo della divisione dell’unica Chiesa di Cristo, acuito ora dentro il mondo ortodosso dalla guerra in Ucraina. Lo stesso san Paolo, scrivendo alla comunità dei Corinzi, molto frammentata, li esortava «per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d’intenti» (1Corinzi 1,10).
Dopo il Concilio Vaticano II, in prospettiva ecumenica, sono state allentate le norme della cosiddetta “communicatio in sacris”, cioè la possibilità a determinate condizioni per gli ortodossi – qualora ci sia una vera utilità spirituale e purché sia evitato il pericolo di errore o di indifferentismo – di accedere ad alcuni sacramenti della Chiesa cattolica (in particolare la Penitenza, l’Eucaristia e l’Unzione degli infermi) e viceversa. Senza entrare nel dettaglio di questa complessa materia, possiamo affermare in generale che ognuno è chiamato per vocazione a favorire un dialogo e un’accoglienza verso le persone di altre fedi e confessioni. Se il calendario dell’agenda ecumenica per arrivare all’unità piena con gli ortodossi e i protestanti non è nelle nostre mani, non è men vero che nel nostro piccolo possiamo favorire la dimensione della fraternità, base su cui poggia la Chiesa.