Spesso in molte nazioni la
ricchezza è posseduta da un
numero limitato di persone.
Nelle famiglie di livello alto
si moltiplicano gli sprechi, si
ostentano i segni del lusso, ci
si dedica a manifestazioni provocatorie
del proprio benessere e non si ha pudore
neppure di mostrare i vizi. Questa
atmosfera regnava anche nell’VIII secolo
a.C. nelle classi al potere nel regno di
Israele, la cui capitale era Samaria.
A creare scompiglio in quella città
con la sua voce forte e chiara era giunto
il profeta Amos, un pastore e coltivatore
di sicomori di Teqoa, un villaggio a
margine del deserto di Giuda, nel territorio
dell’altro regno ebraico, quello
di Gerusalemme. Egli aveva fatto irruzione
come un vento impetuoso; le sue
parole, intrise di immagini realistiche
desunte dalla campagna, rivelavano la
nausea che egli provava per l’aristocrazia
gaudente di Samaria che ignorava la
miseria della gente e si abbandonava a
orge e a feste costose.
In una pagina del suo libro profetico
egli sembra spalancare la porta di
uno dei saloni – tappezzati di avorio
lavorato (3,15) – delle residenze estive
o invernali. Il suo sguardo abbraccia un
clan familiare nobile che sta banchettando
coi suoi ospiti. Non sa più trattenersi
e in un linguaggio veemente urla
alle donne ubriache: «Vacche di Basan
che siete sul monte di Samaria, ascoltate
questa parola, voi che opprimete i deboli
e schiacciate i poveri, voi che dite ai
vostri mariti: Porta qua, beviamo!» (4,1).
Abbiamo in queste parole, al negativo,
il ritratto che abbiamo cercato di delineare
in quest’Anno giubilare mostrando
come famiglia e misericordia
si debbano abbracciare tra loro, così che
padri e madri testimonino ai loro figli il
dovere della giustizia e della carità.
Ecco, invece, nella scena tracciata da
Amos proprio l’antitesi: ignorare chi
soffre, anzi, sfruttare la povera gente
per ottenere un livello di benessere
sfrenato, possedere palazzi, consumare
beni costosi, corrompere la magistratura,
praticare una religiosità ipocrita, assumere
il piacere come regola di vita. Il
profeta fa balenare davanti ai loro occhi
il giudizio di un Dio che è morale e non
è indifferente di fronte a questo sfascio
della giustizia. Amos, infatti, immagina
già ciò che accadrà durante la conquista
di Samaria da parte degli Assiri: «Sarete
portate via con uncini e le rimanenti di
voi con arpioni da pesca, uscendo per le
brecce delle mura, una dopo l’altra», per
essere avviate all’esilio (4,2-3).
La rappresentazione è realistica
perché gli Assiri per impedire ai prigionieri
di agitarsi e ribellarsi li arpionavano
tra loro con ami da pesca sulle
labbra. Dio irromperà con il suo giudizio
attraverso chi non ha mai avuto
pietà dei deboli e dei miseri. Il monito
di Amos è chiaro e merita di diventare
la base di un esame di coscienza anche
per le nostre famiglie, non scandalosamente
ricche come quelle di Samaria
ma comunque benestanti. Le feste, le
preghiere, le devozioni non bastano
se non c’è la misericordia: «Piuttosto
come le acque scorra il diritto e la
giustizia come un torrente perenne!»
(5,24). È quello che ribadiranno tutti i
profeti, a partire da Osea, contemporaneo
di Amos: «Misericordia io voglio e
non sacrificio», dice il Signore (6,6).