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giovedì 14 novembre 2024
 
Il blog di Gianfranco Ravasi Aggiornamenti rss Gianfranco Ravasi
Cardinale arcivescovo e biblista

Le orge di Samaria

Spesso in molte nazioni la ricchezza è posseduta da un numero limitato di persone. Nelle famiglie di livello alto si moltiplicano gli sprechi, si ostentano i segni del lusso, ci si dedica a manifestazioni provocatorie del proprio benessere e non si ha pudore neppure di mostrare i vizi. Questa atmosfera regnava anche nell’VIII secolo a.C. nelle classi al potere nel regno di Israele, la cui capitale era Samaria.
A creare scompiglio in quella città con la sua voce forte e chiara era giunto il profeta Amos, un pastore e coltivatore di sicomori di Teqoa, un villaggio a margine del deserto di Giuda, nel territorio dell’altro regno ebraico, quello di Gerusalemme. Egli aveva fatto irruzione come un vento impetuoso; le sue parole, intrise di immagini realistiche desunte dalla campagna, rivelavano la nausea che egli provava per l’aristocrazia gaudente di Samaria che ignorava la miseria della gente e si abbandonava a orge e a feste costose.

 In una pagina del suo libro profetico egli sembra spalancare la porta di uno dei saloni – tappezzati di avorio lavorato (3,15) – delle residenze estive o invernali. Il suo sguardo abbraccia un clan familiare nobile che sta banchettando coi suoi ospiti. Non sa più trattenersi e in un linguaggio veemente urla alle donne ubriache: «Vacche di Basan che siete sul monte di Samaria, ascoltate questa parola, voi che opprimete i deboli e schiacciate i poveri, voi che dite ai vostri mariti: Porta qua, beviamo!» (4,1). Abbiamo in queste parole, al negativo, il ritratto che abbiamo cercato di delineare in quest’Anno giubilare mostrando come famiglia e misericordia si debbano abbracciare tra loro, così che padri e madri testimonino ai loro “figli il dovere della giustizia e della carità.

Ecco, invece, nella scena tracciata da Amos proprio l’antitesi: ignorare chi soffre, anzi, sfruttare la povera gente per ottenere un livello di benessere sfrenato, possedere palazzi, consumare beni costosi, corrompere la magistratura, praticare una religiosità ipocrita, assumere il piacere come regola di vita. Il profeta fa balenare davanti ai loro occhi il giudizio di un Dio che è morale e non è indifferente di fronte a questo sfascio della giustizia. Amos, infatti, immagina già ciò che accadrà durante la conquista di Samaria da parte degli Assiri: «Sarete portate via con uncini e le rimanenti di voi con arpioni da pesca, uscendo per le brecce delle mura, una dopo l’altra», per essere avviate all’esilio (4,2-3).

 La rappresentazione è realistica perché gli Assiri per impedire ai prigionieri di agitarsi e ribellarsi li arpionavano tra loro con ami da pesca sulle labbra. Dio irromperà con il suo giudizio attraverso chi non ha mai avuto pietà dei deboli e dei miseri. Il monito di Amos è chiaro e merita di diventare la base di un esame di coscienza anche per le nostre famiglie, non scandalosamente ricche come quelle di Samaria ma comunque benestanti. Le feste, le preghiere, le devozioni non bastano se non c’è la misericordia: «Piuttosto come le acque scorra il diritto e la giustizia come un torrente perenne!» (5,24). È quello che ribadiranno tutti i profeti, a partire da Osea, contemporaneo di Amos: «Misericordia io voglio e non sacri“ficio», dice il Signore (6,6).


03 novembre 2016

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