Miei cari amici,
non è la prima volta che, durante questa difficile situazione di epidemia e di connesse discussioni più o meno allo sbaraglio, scelgo di trasformare in riflessione pubblica un pensiero destinato personalmente a ciascuno di voi.
Stavolta mi spingono, con forza indignata, l’orrido tweet («frainteso», dice, «errore del social media manager»!? No comment) del presidente della Regione Liguria e soprattutto, al di là degli scivoloni dei singoli, l’idea di mondo sottesa a queste parole, che comunque circola sottotraccia nel Paese: «Per quanto ci addolori ogni singola vittima del Covid-19, dobbiamo tenere conto di questo dato: solo ieri tra i 25 decessi della Liguria 22 erano pazienti molto anziani. Persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese che vanno però tutelate».
Perché a voi, amici, e non soltanto ai lettori? Perché tra voi, lo sapete, ci sono alcuni (non pochissimi) che hanno superato la soglia anagrafica che il tweet di cui sopra definisce di “utilità”. Al netto del fatto che a me non verrebbe mai in mente di pensare alle persone in generale in termini di utilità, figuriamoci ai miei amici: verrebbe da pensare che chi scrive queste cose, in questi termini, figli di una “cultura” efficientista che sta passando, non abbia amici ma soltanto clientele. Che vita triste.
A questi “over” tra voi, e a qualche “under” per poco, vorrei dire un grazie più grande che agli altri, per l’amicizia non scontata di cui mi onorate, accettando alla pari o quasi (anche quando io non ne sarei all’altezza) un dialogo di una ricchezza inimmaginabile, in termini di scambio, ma anche di parole, di modi, di educazione che stiamo perdendo per strada.
Grazie per le cose che nello scambio mi avete insegnato e mi insegnate, quando discutiamo del nostro lavoro, di com’era, di com’è, di come potrebbe migliorare; per come mi avete lasciato, nel tempo, rubare il vostro mestiere quando, colleghi, abbiamo lavorato fianco a fianco. Avreste potuto proteggere il vostro orticello, come tanti fanno, invece l’avete aperto alla collaborazione.
Grazie, quando colleghi invece non siamo ed è il caso più frequente, per il dialogo costante sulle cose importanti degli altrui mestieri, per cui quotidianamente rappresentate la mia finestra sul mondo e la mia coscienza critica; per la condivisione continua di idee e di esperienze, che si arricchiscono nella differenza anagrafica che regala prospettive, diverse allo sguardo, interessantissime da confrontare. Nella differenza la ricchezza intellettuale, morale, civile, empatica si alimenta e cresce, portando pezzi di memoria di tempi diversi: parlandoci, scrivendoci, confrontandoci creiamo un tessuto relazionale in cui la differenza genera ponti, non barriere. L’amicizia, nella sua versatilità, ha il grande vantaggio di potersi coltivare senza limiti d’età, di genere, di idee, di religione, di istruzione, l’affinità anche nella diversità è il suo solo collante.
Altri, che ragionano in termini di utilità, forse fanno conti diversi. Io volevo dirvi che, per quanto mi riguarda, l’unico conto è quello che faccio su di voi e sul molto che possiamo condividere, grata e fortunata di avervi: non perché è utile, non perché serve, ma perché è bello, perché arricchisce umanamente la vita e la rende migliore. In questo senso, sì, mi siete indispensabili.
Poi, se non vi dispiace, però vorrei anche spiegare a chi ragiona come sopra, che, se proprio di utilità sociale e di efficienza dobbiamo parlare, tra voi, amici nati dal 1950 in giù, ci sono persone ancora attivissime professionalmente in campi cruciali per la vita del Paese; persone che, in famiglia, anche se magari sono fragili perché i 70 li hanno superati da un pezzo, rappresentano l’architrave cui si appoggiano persone ancora più fragili; persone che sono preziosissimi nonni-educatori, non di quelli che le danno tutte vinte, ma fanno da pilastro alla crescita, vera, dei piccoli di casa mentre i genitori producono; persone che hanno toccato la storia con le mani e sono memoria vivente del Paese. Tutti, ma proprio tutti, per la memoria e l’esperienza, professionale, umana e civile che hanno dentro, avrebbero molto da trasmettere e se qualcuno, con la scusa della pandemia, pensa di scartarli è solo perché non ha capito quanto ci sarebbe da imparare da loro. Uno spreco enorme, che un Paese in crisi non dovrebbe permettersi.
Lo capiranno? Temo di no. Ma almeno che qualcuno, nel suo piccolo, anzi minuscolo, glielo dica.
Ps. Per una volta c’è commistione tra pubblico e privato, ma spero che troppo privato non sia: mi auguro che tanti lettori si riconoscano in una parte o nell’altra di questo prezioso scambio; che anche loro abbiano o siano amici non più ragazzi, tanto più preziosi in questi tempi di forzata distanza fisica che non deve a nessun costo diventare sociale e morale.