soldatesse del Libano durante la parata per i 70 anni dell'indipendenza (Reuters).
Qualche giorno fa, il 22 novembre, il Libano ha festeggiato i 70 anni della propria indipendenza. E a così lunga distanza da quell'evento, resta il Paese fotografato dalla metafora del calabrone: che per le leggi della fisica non potrebbe volare, ma intanto vola ugualmente.
Ancora oggi, comunque, le fondamenta del Libano repubblicano posano su quel Patto Nazionale che nel 1943 servì da base per la dichiarazione d'indipendenza. Da un lato, perché la ripartizione degli incarichi politici su base etnico-religiosa (il Presidente cristiano, il leader del Parlamento sciita, ecc. ecc.) continua a tenere insieme le diverse, rissose fazioni (e qui c'è il calabrone). Dall'altro, perché anche il Libano odierno non ha alternative al "doppio rifiuto" che quel Patto presupponeva: il rifiuto dei cristiani ad appoggiare l'occupazione francese, che molti di loro vedevano come una garanzia di sicurezza, e il rifiuto dei musulmani, allora soprattutto sunniti, ad appoggiare il progetto panarabista di uno Stato che inglobasse Siria, Libano, Palestina, Giordania e Iraq, come in quell'epoca sognato da re Faisal.
Anche i tempi più recenti hanno dimostrato che il Libano non ha alternative. Quando questa o quella fazione ha pensato di potersi appoggiare all'influenza estera (che fosse quella di Israele per parte dei cristiani, quella dell'Arabia Saudita per i sunniti, quella della Siria di Assad per gli sciiti), il risultato è stato solo morte e distruzione. Persino Hezbollah, il movimento politico-militare sciita nato e cresciuto all'ombra dell'Iran, ha dovuto pian piano distanziarsi dagli ayatollah, per acquisire una dimensione nazionale e con essa maggiore credibilità.
Anche in questo il Libano conferma la propria eccezionalità. E' costretto a essere indipendente, persino più di quanto lui stesso vorrebbe.