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giovedì 20 marzo 2025
 

L’invidia fa vivere male e paralizza il prossimo

Gentile direttore, nel Vangelo di domenica scorsa mi ha colpito l’immagine della pagliuzza e della trave. Mi è capitato di ascoltare persone, convinte di essere le uniche detentrici del sapere su ciò che è buono e utile per la società, criticare tutto e tutti e qualsiasi attività e piccolo slancio vitale che ancora esiste in questo Paese. Trovo tutto questo mortificante; la nostra stessa società è mortificante, poco aperta alle novità; il suo motto sembra essere diventato: «Vivi una vita normale».

Io non so quale sia la normalità e dopo tutto non la voglio conoscere, troppo cara mi è la libertà, so solamente che nelle dittature più violente, normali erano quelli che obbedivano. Ricordo che nella nostra Costituzione si valorizza qualsiasi tipo di attività che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Gli amici della pagliuzza spesso sono animati da un senso di invidia, guardano male gli altri, come dice l’etimologia stessa. Dante aveva ricucito le palpebre dei loro occhi; secondo me un Dio infinitamente buono, se esiste, non si lascerebbe andare a tali pene. Gli invidiosi danno già la pena a sé stessi, perché quel sentimento li fa vivere male e non li porta a cercare di raggiungere in qualche modo la felicità, a emulare modelli positivi, ma semplicemente gli fa desiderare l’infelicità altrui. Purtroppo questo guardare, parlare male può finire per offendere, immobilizzare gli altri, addirittura un intero Paese.

EDOARDO

Caro Edoardo, le tue riflessioni sono molto interessanti e meriterebbero più spazio. Bisognerebbe capovolgere l’atteggiamento di invidia nel suo opposto. La parola, come tu ricordi, deriva dal latino e significa “guardare male”. Dovremmo imparare a guardare bene, a pensare bene, a incoraggiare e non a distruggere, a perdonare e non a condannare tutto e tutti, sempre e comunque. In questo senso è molto bella la frase di Gandhi che citi alla fine della tua lettera: «La libertà non vale nulla se non comprende la libertà di commettere errori». Non si tratta di essere lassisti e superficiali, ma di mettere in evidenza ciò che è positivo, per ridare fiducia, slancio e spingere, come tu scrivi, «al progresso materiale e spirituale della società».

Purtroppo stiamo diventando tutti troppo cinici, pessimisti, incapaci di vedere il bene. Sempre e solo critici. Mi viene in mente, in proposito, una battuta dell’umorista Guido Clericetti, che così definisce il critico: «Lui non lo sa fare, ma ti dice come non lo dovevi fare». Noi cristiani dovremmo prendere come esempio san Barnaba. Inviato ad Antiochia dagli apostoli, dopo che era giunta la notizia che molti pagani avevano aderito alla fede, quando giunse «vide la grazia di Dio, si rallegrò ed esortava tutti a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore» (Atti 11,23).


12 aprile 2019

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