(foto Reuters).
Gerusalemme,
dal nostro inviato
Questa del 2015 passerà alla storia anche per essere
la prima intifada “social”. Non è un modo di dire modaiolo: per gli attivisti dell'uno come dell'altro fronte,
Facebook e i telefonini smart sono diventati un potente strumento di lotta. I palestinesi lamentano la disattenzione del mondo (“Ci sono troppe crisi in Medio Oriente, dalla Siria alla Libia allo Yemen, i nostri problemi non sono più in primo piano”, dice Mamun Matar, un giornalista televisivo), gli israeliani accusano l'opinione pubblica di essere prevenuta contro di loro. Così
gli uni e gli altri fanno ricorso massiccio ai social network, per informare o disinformare secondo necessità.
Quando gli arabi israeliani hanno dichiarato lo sciopero nazionale, una settimana fa, la mobilitazione è avvenuta con la messaggeria istantanea dei telefonini e via Messenger. La reazione israeliana anche: si sono subito diffusi in Rete gli appelli a boicottare i negozianti arabi che avessero aderito alla protesta. Così, se
la prima intifada (1987) fu quella dei fax e la seconda (2000) quella delle Tv, questa è quella dei click.
Un passo più in là ci sono i video dei militanti: i ragazzi palestinesi fanno circolare alla velocità della luce i filmatini fatti coi cellulari e c'è chi, a Betlemme,
ha piazzato delle piccole videocamere nei pressi del Muro per filmare gli scontri e trasmetterli in diretta streaming. Si moltiplicano d'altra parte le pagine Facebook e gli hashtag Twitter con cui i giovani di Israele invitano a farla finita con i terroristi quando non con gli arabi. Sono le stesse autorità israeliane, peraltro, a ricordare che i “lupi solitari” dei coltelli non rispondono a veri capi, a una struttura organizzata ma piuttosto agli appelli e alla propaganda diffusa in Rete dai gruppi islamici radicali.
Il risultato è che si diffondono capillarmente militanza e mobilitazione, ma anche preoccupazione e rancore, oltre che false voci e accuse non provate o non provabili a carico dell'una e dell'altra parte. Tra i palestinesi, per esempio,
è convinzione comune che gli israeliani rapiscano la gente e la facciano sparire. Tra gli israeliani sono stati almeno tre i casi di aggressione ai danni di altri israeliani, scambiati però per terroristi arabi. Il più grave si è verificato a Beer Sheva, dopo l'attentato alla stazione degli autobus. Un palestinese ha pugnalato e ucciso un soldato, gli ha preso il mitra e ha cominciato a sparare sulla gente, ferendo altre 11 persone. Nel fuggi fuggi della stazione un giovane eritreo immigrato, che si era messo a correre per ripararsi, è stato scambiato per un secondo terrorista: ferito da un soldato, è stato poi finito a calci e pugni dalla folla inferocita.