«I ciechi sono stati sempre numerosi nell’Oriente e il posto che occupano nel Nuovo Testamento dimostra molto bene che nella Palestina la cecità era la sorte di molti infelici che beneficiarono della compassione di Gesù. Non era solo un’infermità senile (come accade a Isacco o al sacerdote Eli), ma era anche più spesso il risultato dell’oftalmia purulenta, provocata o aggravata dal sole, dalla polvere e dal sudiciume».
Questa annotazione essenziale del Dizionario enciclopedico della Bibbia e del mondo biblico di Lucas H. Grollenberg vale per ogni altro sussidio biblico che dedichi voci alle varie realtà concrete che si incontrano nelle Scritture.
Noi, però, ci interessiamo ora di una cecità congenita, presentata nel celebre racconto giovanneo del cieco nato. La nostra attenzione punta su un dato ai nostri occhi stravagante eppure storico: la strana terapia adottata da Gesù nei confronti di quel miserabile, abbandonato anche dai suoi genitori che, durante l’interrogatorio dei farisei, prendono le distanze da lui (cfr. Giovanni 9,21).
Gesù, dunque, per guarirlo applica una curiosa cura: prepara un impasto di polvere della terra con il suo sputo e applica quella fanghiglia agli occhi del cieco. Poi lo indirizza alla piscina di Siloe a lavarsi e Giovanni osserva che il nome della fonte significa "Inviato" (9,7). In realtà il termine evoca l’“emissione” dell’acqua, perché significa letteralmente "Inviante". Tuttavia è chiaro che, con l’interpretazione allusiva proposta dall’evangelista, il cieco è sanato dall' "Inviato" messianico per eccellenza, il Cristo, spesso descritto nel quarto Vangelo come colui che è stato mandato dal Padre (Giovanni 1,14; 3,17; 4,34; 6,38-39).
Ma torniamo alla tecnica medica di Gesù che ricorre all’uso della sua saliva, una prassi reiterata nei confronti di un sordomuto: «Gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua e, guardando poi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: Effata’, cioè: “Apriti”» (Marco 7,33-34; il gesto è divenuto un rito simbolico nella liturgia battesimale anche attuale). Ora, in quell’epoca – e ancor oggi in certe culture – la saliva era considerata dotata di una particolare efficacia terapeutica. Soprattutto nel caso di persone venerate per santità e autorevolezza.
Avremmo, così, in questo atto a prima vista discutibile e improbabile una suggestiva testimonianza storica dell’episodio. Giovanni, però, rilegge l’evento come un “segno” che rivela Cristo “luce del mondo” (8,12) e che narra la storia anche di una conversione di colui che è stato sanato.