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venerdì 04 ottobre 2024
 
Il blog di Gianfranco Ravasi Aggiornamenti rss Gianfranco Ravasi
Cardinale arcivescovo e biblista

L’offerta, l’altare, il fratello

"Se stai per presentare la tua offerta all’altare, e là ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa  contro di te, lascia là il tuo dono, davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti col tuo fratello.
Poi torna a offrire il tuo dono."
(Matteo 5,23-24)

La processione dei fedeli sta per accedere al tempio di Sion per offrire i sacrifici rituali. Alla porta d’ingresso, ecco un levita che proclama una serie di condizioni prerequisite per poter essere ammessi al culto. Quali erano queste clausole di ammissione? Norme di purità esteriore con abluzioni, come accadeva in molti templi dell’antichità o come avviene con le fontane che precedono le moschee? Prescrizioni sull’abbigliamento, come leggiamo oggi sui cartelli posti davanti alle nostre cattedrali o chiese storiche? Anche l’antica raccolta delle tradizioni giudaiche, il Talmud, ammoniva che «non si deve salire sul monte del tempio con le scarpe, né con la borsa, né con la polvere sui piedi e non si deve sputare per terra».
Ecco, invece, l’elenco di coloro che sono ammessi al tempio secondo quel levita: «Chi cammina con moralità, chi pratica la giustizia, chi dice la verità dal cuore, chi non ha calunnia sulla lingua, chi non fa del male al suo prossimo, chi non insulta il suo vicino, chi considera spregevole il perverso e onora colui che teme il Signore, chi non ha esitazioni, anche se ha giurato a suo danno (nel mantenere la parola data), chi non presta denaro a usura, chi non si lascia corrompere contro l’innocente! ». A questo punto ecco la conclusione: «Chi agisce così, sarà stabile per sempre» e quindi starà sulla rupe solida del tempio, simbolo della potenza salvatrice di Dio.
Abbiamo sceneggiato il testo del Salmo 15, perché esso è in qualche modo l’antefatto del frammento che abbiamo proposto ritagliandolo da quel fondamentale “Discorso della Montagna”, considerato – forse un po’ eccessivamente – la “Magna Charta” del cristianesimo (in verità, nel cuore del messaggio cristiano si devono porre anche e soprattutto l’Incarnazione e la Pasqua di Cristo). Gli studiosi della Bibbia hanno classificato il Salmo 15 e altri passi analoghi come una “liturgia d’ingresso” ed è facile capirne il motivo. L’ingresso al culto è aperto solo se si ha la coscienza pura e onesta. Anche noi iniziamo la Messa con l’atto penitenziale in cui ci riconosciamo peccatori davanti a Dio e ai nostri fratelli.
I fratelli sono, appunto, al centro del passo matteano che stiamo considerando. Immaginiamo allora due fratelli. Uno sta per entrare nel tempio a pregare e a fare la sua offerta sacrificale o a partecipare all’Eucaristia. L’altro fratello è in città: tra i due c’è stata una lite violenta e non si parlano più, anzi, si detestano. Il primo sa di questa tensione e vorrebbe quasi ignorarla. Ecco, però, la voce di Gesù: lascia lì dono e offerta, rientra in città e bussa alla porta di tuo fratello e cerca di riconciliarti con lui. Tutto questo è emblematicamente rappresentato oggi in un gesto liturgico divenuto ormai abitudinario e scontato, quello dello scambio di pace prima di ricevere l’Eucaristia.
Più significativo al riguardo è il rito ambrosiano della Chiesa di Milano che pone tale gesto prima dell’offertorio con questa esortazione: «Secondo l’ammonimento del Signore, prima di presentare i nostri doni all’altare, scambiamoci un segno di pace». Come insegnavano i profeti, la liturgia senza la vita giusta, il rito senza la giustizia, la preghiera senza l’amore sono sgraditi a Dio e rischiano di essere una farsa. Era ancora Gesù che ripeteva: «Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati» (Marco 11,25).


10 febbraio 2011

 
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