"Se stai per presentare la tua offerta all’altare, e là ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia là il tuo dono, davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti col tuo fratello.
Poi torna a offrire il tuo dono."
(Matteo 5,23-24)
La processione dei fedeli sta per accedere al tempio di Sion per offrire i sacrifici
rituali. Alla porta d’ingresso, ecco un
levita che proclama una serie di condizioni
prerequisite per poter essere ammessi al culto.
Quali erano queste clausole di ammissione?
Norme di purità esteriore con abluzioni,
come accadeva in molti templi dell’antichità
o come avviene con le fontane che precedono
le moschee? Prescrizioni sull’abbigliamento,
come leggiamo oggi sui cartelli posti davanti
alle nostre cattedrali o chiese storiche? Anche
l’antica raccolta delle tradizioni giudaiche, il
Talmud, ammoniva che «non si deve salire
sul monte del tempio con le scarpe, né con la
borsa, né con la polvere sui piedi e non si deve
sputare per terra».
Ecco, invece, l’elenco di coloro che sono ammessi
al tempio secondo quel levita: «Chi cammina
con moralità, chi pratica la giustizia,
chi dice la verità dal cuore, chi non ha calunnia
sulla lingua, chi non fa del male al suo
prossimo, chi non insulta il suo vicino, chi
considera spregevole il perverso e onora colui
che teme il Signore, chi non ha esitazioni, anche
se ha giurato a suo danno (nel mantenere
la parola data), chi non presta denaro a usura,
chi non si lascia corrompere contro l’innocente!
». A questo punto ecco la conclusione: «Chi
agisce così, sarà stabile per sempre» e quindi
starà sulla rupe solida del tempio, simbolo
della potenza salvatrice di Dio.
Abbiamo sceneggiato il testo del Salmo
15, perché esso è in qualche modo l’antefatto
del frammento che abbiamo proposto ritagliandolo
da quel fondamentale “Discorso
della Montagna”, considerato – forse un po’
eccessivamente – la “Magna Charta” del cristianesimo
(in verità, nel cuore del messaggio
cristiano si devono porre anche e soprattutto
l’Incarnazione e la Pasqua di Cristo).
Gli studiosi della Bibbia hanno classificato
il Salmo 15 e altri passi analoghi come una
“liturgia d’ingresso” ed è facile capirne il
motivo. L’ingresso al culto è aperto solo se si
ha la coscienza pura e onesta. Anche noi iniziamo
la Messa con l’atto penitenziale in cui
ci riconosciamo peccatori davanti a Dio e ai
nostri fratelli.
I fratelli sono, appunto, al centro del passo
matteano che stiamo considerando. Immaginiamo
allora due fratelli. Uno sta per entrare
nel tempio a pregare e a fare la sua offerta
sacrificale o a partecipare all’Eucaristia. L’altro
fratello è in città: tra i due c’è stata una lite
violenta e non si parlano più, anzi, si detestano.
Il primo sa di questa tensione e vorrebbe
quasi ignorarla. Ecco, però, la voce di Gesù:
lascia lì dono e offerta, rientra in città e
bussa alla porta di tuo fratello e cerca di riconciliarti
con lui. Tutto questo è emblematicamente
rappresentato oggi in un gesto liturgico
divenuto ormai abitudinario e scontato,
quello dello scambio di pace prima di ricevere
l’Eucaristia.
Più significativo al riguardo è il rito ambrosiano
della Chiesa di Milano che pone tale gesto
prima dell’offertorio con questa esortazione:
«Secondo l’ammonimento del Signore,
prima di presentare i nostri doni all’altare,
scambiamoci un segno di pace». Come insegnavano
i profeti, la liturgia senza la vita giusta,
il rito senza la giustizia, la preghiera senza
l’amore sono sgraditi a Dio e rischiano di
essere una farsa. Era ancora Gesù che ripeteva:
«Quando vi mettete a pregare, se avete
qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché
anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a
voi i vostri peccati» (Marco 11,25).