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giovedì 19 settembre 2024
 
Libri, il buono e il cattivo Aggiornamenti rss Paolo Perazzolo
Responsabile del desk Cultura e spettacoli

Maggiani e i padri che fecero la Nazione

Quel grande affabulatore che è Maurizio Maggiani, l'autore di Il coraggio del pettirosso e Il viaggiatore notturno, vincitore di ogni genere di premio, si era messo in testa di scrivere "il romanzo della nazione", ovvero di raccontare la nazione che l'Italia avrebbe potuto essere, ma non è stata. A complicare l'ambizioso progetto, se non ad abortirlo alla nascita, è la morte del padre: di colui che avrebbe dovuto essere la fonte primaria e diretta, il testimone fondamentale del tentativo di nascita della nazione.

Così Il romanzo della nazione (Feltrinelli) assume dapprima la forma di un commovente ricordo del padre, e della madre; di una commossa elegia famigliare, un omaggio al padre. E qui si trovano pagine intense, struggenti, consegnate al lettore all'interno di quel flusso narrativo che è tipico dello scrittore ligure, ora trasferitosi in Emilia. 

Chi fu il padre di Maggiani? Un uomo unico e al tempo stesso simile a molti altri della sua generazione. Quella che prima sposò l'illusione fascista, andando a combattere anche fuori dai confini patri; che poi capì e diede vita alla Resistenza; che formò una famiglia, mentre tentava di formare una nazione, uno Stato, una comunità; che infine dovette constatare il fallimento dell'utopia di una vita, mentre la vecchiaia imponeva il suo tributo. 

Pagine intense, commoventi, dicevo. Ad esempio il ricordo di quando il padre gli cantava la ninnananna, usando le arie dell'opera, di cui era un grande appassionato. O la memoria straziante del giorno in cui, allontanandosi dal tavolo del pranzo, si ritirò nella sua stanza e si sedette sul bordo del letto, per dire, al figlio che andava a chiedergli che cosa stesse succedendo: "Non ce la faccio". O la scoperta che un uomo semianalfabeta aveva composto 13 poesie...

Ad un certo punto il ritratto intimo del padre lascia il posto a due racconti paralleli, due idee di romanzo che - confessa lo scrittore - erano state tralasciate. Di queste, il più bello è sicuramente quello che rievoca la costruzione dell'Arsenale militare nel Golfo di La Spezia. Fu Cavour, nell'Ottocento, a immaginare questo maestoso cantiere, al quale affluirono menti e braccia da tutto il Paese, da tutte le città. E se l'obiettivo materiale era la costruzione della Dandolo, la più grande nave da guerra dell'epoca, il fine nascosto e altamente spirituale fu il fatto che rappresentò le prove generali, per non dire i atti fondativi, della nuova Nazione. In questo convergere di uomini con abilità differenti, tutti protesi verso la medesima meta, in questo sinergico collaborare fianco a fianco, fra fine Ottocento e inizio Novecento, vide gli albori la nazione: quella che avrebbe potuto essere, ma non fu.

Perché non fu? Come già ha spiegato nel suo testo precedente, Un'invettiva, il lavoro dei padri non fu portato a compimento dei figli, che dispersero l'enorme e ricca eredità dei padri. 

Il romanzo della nazione mette in mostra la doppia vocazione di Maggiani: l'essere un affascinante affabulatore e la dimensione civile della sua opera. Un lettore, commentando questo romanzo su un sito, l'ha paragonato a Fellini: un'idea di cui mi approprio, per descrivere un inesauribile creatore di storie, uno straordinario collettore di esperienze, un racconta storie come ce ne sono pochi. la passione civile di Maggiani è stata sempre inestricabilmente connessa a questa sua vis narrativa. raccontare, per lui, ha sempre significato dare voce alla gente comune, agli eroi invisibili e ordinari che sono, ancora oggi, il cuore palpitante di quella nazione incompiuta che è l'Italia.


08 ottobre 2015

 
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